Lo scorso anno già dalla partita contro la Triestina, era la prima uscita ufficiale e il Pescara fu eliminato dal primo torneo della stagione, la Coppa Italia, ai calci di rigori da una squadra di Lega Pro, si capiva che il Pescara di Zeman avrebbe disputato un grande campionato. In campo si erano visti i primi movimenti del credo zemaniano, non ancora tutti gli attori protagonisti, e s’intuiva che quella squadra poteva “spaccare” il campionato. Non se ne accorse nessuno, forse perché era la vigilia di ferragosto e il caldo, a volte, obnubila il cervello. Poi iniziò il campionato e con il campionato i primi riscontri a supportare l’impressione positiva tratta dalla partita contro la Triestina. Ma il contesto pescarese continua ad ignorare Zeman, non la squadra, ma proprio l’allenatore di Praga. Quando poi il Pescara comincia a segnare con una certa regolarità e a occupare stabilmente le prime posizioni in classifica le critiche diventano, paradossalmente, anche più perfide. Mai dirette, ma sempre indirette. Nascoste, pigiate, le une sulle altre tra le parole. Visibili per sottrazione nei titoli di prima pagina che non ci sono. In un narrare le gesta della squadra, che nel frattempo sta deliziando il palato calcistico di tutta l’Italia, non utilizzando mai aggettivi adeguati all’impresa che si sta materializzando sotto gli occhi di tutti. Ogni singolo passo falso viene salutato come quello definitivo. E nel periodo peggiore dal punto di vista dei risultati, tra la fine di marzo e l’inizio di aprile il periodo dei lutti per chi avesse già rimosso ogni ricordo e con la squadra che sembrava non avere la forza di reagire, alle cassandre nostrane sembrava aver vinto definitivamente la personale battaglia.
Il campo però, da Padova-Pescara e fino alla fine del campionato, ha dato responsi impossibili da ignorare e, obtorto collo, dinnanzi al trionfo di una squadra che ha riscritto la storia della serie B, tutti sono stati costretti ad utilizzare aggettivi che mai avrebbero pensato di dover rispolverare dai cassetti della loro memoria.
Perché è successo tutto questo? Perché una squadra che vinceva e riempiva lo stadio tutte le settimane non è stata raccontata e accompagnata al successo con l’enfasi che avrebbe meritato? Perché Zeman, cercato e rincorso dai media di tutto il Paese per il nuovo miracolo che stava realizzando in Abruzzo, è stato, nella sua nuova casa, trattato come un intruso?
La chiave per aiutarci a capire ciò che è successo lo scorso anno in riva all’Adriatico e per comprendere alcuni meccanismi della mente umana e ciò che succede quando ci si rifiuta di guardare la realtà delle cose ce la offre uno dei più grandi autori teatrali italiani di tutti i tempi.
Nello stadio dove il Pescara gioca le sue partite interne, si aggira il fantasma di Alfredo e i Pasquale Lojacono pescaresi pensano davvero sia un fantasma. Ci credono a tal punto da non vedere ciò che succede sotto i loro occhi e cioè che Maria, la giovane moglie di Pasquale Lojacono, sia l’amante di Alfredo. Un fantasma che ieri osteggiava e oggi pontifica sul nulla.
«I fantasmi non esistono. I fantasmi siamo noi…», ripeteva, inascoltato, Pasquale.
E cosi la malafede di alcuni e il pregiudizio di molti, crearono le condizioni perché non ci fosse la narrazione di un’impresa, ma semplicemente la cronaca di una vittoria. Un’occasione persa, come spesso succede all’Abruzzo anche in altri settori, per scrivere nuove pagine di epica sportiva destinate a restare nella memoria collettiva come “La storia”.
«Mi ha lasciato una somma di denaro […] però dice che ha sciolto la sua condanna […] che non comparirà mai più […] Come? […] Sotto altre sembianze? È probabile. E speriamo…». Sono le parole con le quali Pasquale Lojacono commenta con il professor Santanna l’epilogo della commedia Questi fantasmi, scritta e interpretata da Eduardo De Filippo, drammaturgo, regista, attore e poeta, patrimonio dell’umanità.