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Rivera Rivera Rivera Rivera

Dopo una lunghissima gestazione è in libreria Rivera Rivera Rivera Rivera, un libro che celebra la grandezza del primo Pallone d’oro italiano. Un omaggio che Em Bycicleta, il presidio di fabulazione sportiva, dedica all’ex bambino d’oro.

Un’antologia di 26 racconti su Gianni Rivera. È così che Em Bycicleta – Presidio di fabulazione sportiva decide di salutare i propri lettori per trasformarsi in Rivista Melina, che manterrà in ogni caso lo stesso spirito che per anni ha animato il gruppo.
Ma perché proprio un libro sul dieci milanista? La risposta l’ha data tempo Alf Ramsey, mitico allenatore dell’Inghilterra mondiale, che alla domanda su chi fossero i quattro giocatori italiani più forti rispose, lapidario: «Rivera, Rivera, Rivera, Rivera».

RIVERA RIVERA RIVERA RIVERA

Gianni Brera, Gianni Bertoli, Biagio Goldstein Bolocan, Alberto Brambilla, Oscar Buonamano, Mimma Caligaris, Silvano Calzini, Gino Cervi, Pinuccio Corsi, Stefano Corsi, Emiliano Fabbri, Stefano Fregonese, Claudio Gavioli, Tino Gipponi, Antonio Gurrado, Andrea Maietti, Carlo Martinelli, Dario Mazzocchi, Valerio Migliorini, Marco Ostoni, Frank Parigi, Darwin Pastorin, Gianni Rossi, Luigi Sampietro, Claudio San­filippo, Francesco Savio.

GIANNI BRERA:
«Unendo il proprio destino al Milan fu sempre coerente, non fortunato. Nessuno osa privarsene o mancargli di rispetto. È equilibrato, forse anche saggio. La fama gli si dissolve sul capo come una nube non più molto grata. Non se ne affligge e per questo lo stimo. Forse l’angoscia lo prende sentendosi vecchio per un atleta che invero è stato più artista che atleta: però è composto, schivo, e mai lo dà a vedere. L’ho incontrato l’altra sera presso un amico comune, Ross Galimi. Abbiamo bevuto e conversato a lungo, molto serenamente. Fra i due, a capir meglio l’altro è stato lui. Orrida vecchiezza, ridammi il mio abatino».

EM BYCICLETA
Em Bycicleta. Presidio di fabulazione sportiva è nata in un’osteria di Lodi, nel dicembre del 2003. È un nome collettivo che raccoglie ‘sognatori e balenghi’ uniti in un’idea di sport diversa da quella proposta dallo show-business. Sport come metafora di vita, fonte di ‘favole’, nutrimento dei brevi sogni dei poveri che siamo stati, ora che il rischio è di diventare miserabili di mente e di cuore.

LA CASA EDITRICE
La vendita dei libri avviene attraverso il sito internet ufficiale incontropiede.it, i negozi online e le librerie che lo richiedono.
In catalogo “Campo per destinazione – 70 storie dell’altro calcio” di Carlo Martinelli (prefazione di Stefano Bizzotto), “Il Romanzo di Julio Libonatti” di Alberto Facchinetti (con una nota di Gian Paolo Ormezzano), “Il calciatore stanco” di Gino Franchetti, “Arrigo. La storia, l’idea, il consenso, la fiamma” di Jvan Sica, “Gol mondiali” di “Sport in Punta di penna”, “Memorie dell’Europa calcistica – L’Erasmus del pallone” di Federico Mastrolilli, “Scusa se lo chiamo Futebol” di Enzo Palladini, “Ho scoperto del Piero” di Alberto Facchinetti (con la prefazione di Alessandro Del Piero), “MayPac” di Andrea Bacci, “Il Cameriere di Wembley” di Lorenzo Fabiano (con prefazione di Roberto Beccantini).

Rivera Rivera Rivera Rivera, Em Bycicleta (EDIZIONI inCONTROPIEDE, 2016. 142 pagine. 14,50 euro)

Il campionato degli Italiani

È da pochi giorni in libreria un’antologia di racconti sulle città che partecipano al campionato di calcio di serie B. S’intitola Il campionato degli italiani, 22 giornalisti e scrittori per 22 racconti sulle 22 squadre della serie cadetta, un’antologia che fonde il calcio con il tessuto sociale. Ventidue racconti sul calcio e sulle realtà cittadine delle squadre che compongono la serie B 2015/16.

Ecco la rosa: Titti Festa (Avellino), Marco Amabili (Ascoli), Bruno Palermo (Crotone), Gaetano Imparato (Livorno), Oscar Buonamano (Pescara), Lorenzo Mazzoni (Viruts Lanciano), Francesco Vannutelli (Perugia), Mauro Frugone (Virtus Entella), Roberto Guerriero (Salernitana), Sergio Fortini (Novara), Nicola Conforti (Trapani), Mauro Corno (Como), Andrea De Carlo (Modena), Gianluca Mattioli (Cesena), Marco Ursano (Spezia), Eva Pommerouge (Latina), Gianluca Atlante (Bari), Luca Biribanti (Ternana), Gianpaolo Laffranchi (Brescia), Franco Cottini (Pro Vercelli), Enrico Astolfi (Cagliari), Filippo Landini (Vicenza).
L’allenatore è l’ideatore e curatore del progetto editoriale, Gian Luca Campagna.

Dal mondo singolarmente provinciale di Latina fatto di procaci milf interessate più ai garretti dei calciatori che al pallone alla passionale armonia di una città d’acciaio come Terni. Dai ricordi con gli occhi di un bambino del braccio chiuso di Sollier dopo una rete alla morte di Renato Curi a Perugia, al dramma degli immigrati che Trapani vive ogni stagione. Da una scommessa nata male e finita peggio a Lanciano alla leggenda del fratello sfigato di Dan Corneliusson sul ramo del lago di Como. Dalla tradizione olimpica e pitagorica di Crotone alla realtà colma di calcio e di vita di Salerno. Dalla sciarpa portafortuna di un tifoso del Cesena allo spigoloso momento che vive un ultras del Novara. Dai sogni e le delusioni di un bambino che tifa Avellino all’ironia della giovanissima Pro Vercelli che regala all’Inter una lavagna. Dalla tensione del cronista che attende il ripescaggio del ‘suo’ Ascoli in B al quadro picaresco, noir e cinico di una La Spezia preda della criminalità. Dal dramma intimo e familiare di un tifoso del Vicenza ai sogni di un giovane che desidera giocare nel suo Entella. Dai ricordi in bianco e nero di due tifosi del Pescara passando per YouTube e Twitter alla sorprendente solidarietà ‘a livello ultras’ dei tifosi del Cagliari. Dai sogni di una notte di mezza estate a Modena con le preghiere alla Ghirlandina alle vicissitudini di un giovane ghanese con problemi di carta d’identità a Brescia. Dai sogni di un giovane che un giorno esordisce con la maglia del suo Bari al ricordo sempre vivo di chiaroscuro e colmo di lacrime per il giovane amaranto Piermario Morosini, morto in campo il 14 aprile 2012 durante Pescara-Livorno, cui è dedicata quest’antologia.
Ci provano tutti a infangarlo, a sgonfiarlo, a rottamarlo, ma il pallone, stoicamente, resiste grazie alla passione della gente. Perché si rigenera. Si rigenera «ogni volta che un bambino prende a calci un pallone per strada è lì che rinasce la storia del calcio». Lo ha scritto tanti anni fa. E, ancora oggi, con questi racconti, sappiamo che è straordinariamente vero.

Tutti i libri della nuova stagione di Calcio Totale

La strenna natalizia di Pagina Tre è il riepilogo di tutti i libri di cui abbiamo parlato in queste prime tredici puntate della  nuova stagione.

1ª puntata_4 settembre 2015
Il giorno perduto. Racconto di un viaggio all’Heysel
Gian Luca Favetto, Anthony Cartwright
(2015, 66THAND2ND, 330 pagine. 18,00 euro)
Intervista con l’autore, Gian Luca Favetto

2ª puntata_9 settembre 2015
Io Ibra
David Lagercrantz, Zlatan Ibrahimovic
(2013, BUR, 389 pagine)

3ª puntata_18 settembre 2015
Che gusto c’è a fare l’arbitro
Nicola Rizzoli
(2015, Rizzoli, 339 pagine)

4ª puntata_25 settembre 2015
Ho osato vincere
Francesco Moser, Davide Mosca
(2015, Mondadori, 228 pagine. 19,00 euro)

6ª puntata_9 ottobre 2015
SLA, il male oscuro del pallone
Massimiliano Castellani
(Goalbook)
Intervista con l’autore, Massimiliano Castellani

7ª puntata_16 ottobre 2015
Storia del gol. Epoche, uomini e numeri dello sport più bello del mondo
Mario Sconcerti
(2015, Mondadori, 348 pagine)
Intervista con l’autore, Mario Sconcerti

8ª puntata_30 ottobre 2015
Pier Paolo Pasolini e il calcio

9ª puntata_6 novembre 2015
Michael Joordan, la vita
Roland Lazenby
(2015, 66THAND2ND, 779 pagine)
Intervista con Martino Michele, redazione 66thand2nd

10ª puntata_13 novembre 2015
I cantaglorie. Una storia calda e ribalda della stampa sportiva
Gian Paolo Ormezzano
(2015, 66THAND2ND, 184 pagine)
Intervista con l’autore, Gian Paolo Ormezzano

11ª puntata_4 dicembre 2015
Non dire gatto. La mia vita sempre in campo, tra calcio e fischi
Giovanni Trapattoni, Bruno Longhi
(2015, Rizzoli, 397 pagine)
Intervista con l’autore, Bruno Longhi

12ª puntata_11 dicenbre 2015
Vite vere. Compresa la mia.
Beppe Viola
(2015, Quodlibet, 288 pagine)
Intervista con lo scrittore, Gino Cervi

Ho osato vincere, Francesco Moser con Davide Mosca

Ci sono campioni dello sport che restano impressi nella memoria di ognuno di noi e che ci segnano indipendentemente dalle vittorie. Le vittorie, i record, le belle prestazioni, sono importanti, sono l’essenza stessa dello sport, ma il campione è tale se ha qualcosa in più. Qualcosa che va oltre la vittoria, il record o la prestazione straordinaria. Il campione sa incendiare i cuori anche quando non vince, soprattutto quando non vince. Crea senso di appartenenza. Soprattutto il campione non invecchia mai, resta fisso, immobile, nella tua mente con la stessa, identica, faccia che non conosce età e tempo. Francesco Moser è uno di questi. Un campione che ha fatto piangere di gioia generazioni di appassionati di ciclismo e che resta, ancora oggi, uno dei campioni più amati di tutti i tempi dello sport italiano. Un campione che ha vinto molto e che è sempre rimasto umile e legato alla sua terra d’origine, ai valori con i quali è cresciuto, alla sua gente.
«Palù è rimasto il perno attorno al quale ha ruotato tutta la mia vita, benché nel corso degli anni il raggio della ruota si sia allungato fino ai confini della terra, dal Venezuela, dove ho conquistato la maglia iridata, al Giappone, dove sono stato il primo ciclista italiano a gareggiare. Non importa fin dove sono arrivato. Sono sempre tornato qui, dopo ogni vittoria come dopo ogni sconfitta. Perché nessuno può restare se stesso senza le proprie radici».
Ho osato vincere, l’autobiografia di Francesco Moser è, soprattutto nella sua prima parte, l’autobiografia di una famiglia che ha dato molto al ciclismo italiano ed è contemporaneamente il racconto di un’Italia che sapeva lottare ed emanciparsi senza snaturare la sua natura.
«Un giorno di fine giugno Aldo mi propone un giro in bicicletta. Ho compiuto diciotto anni da una settimana e sento ancora quello strano nodo alla gola. Per una volta tanto provo a spingere, se non altro per ricacciare indietro il groppo, quella sensazione di essere nei pressi di un valico sconosciuto e di non sapere cosa ti aspetta al di là, se sole o pioggia, neve o vento. Nel frastuono dei pensieri non sento mio fratello Aldo che mi urla di aspettarlo. È rimasto indietro sulla salita di Palù.
Appena rientro a casa annuncio che correrò. Il più sorpreso sono io».
In casa erano in undici, esclusi mamma e papà. Aldo, Enzo e Diego, tre dei suoi fratelli sono stati ciclisti professionisti. Inizia a gareggiare tardi, dopo aver compiuto i diciotto anni, perché dopo la morte del padre c’era bisogno che qualcuno si occupasse del lavoro nei campi. Un inizio per niente facile, soprattutto perché Francesco Moser è uno che non abbassa la testa di fronte a nessuno. È abituato a lottare e a battersi per le proprie idee.
«Aprire nuove strade sembra il mio destino fin dal principio. Come quando mi rifiuto di partecipare al Giro. Mai nessuno italiano di classifica si è sognato di disertare un Giro d’Italia per manifestare il proprio dissenso agli organizzatori. Mai nessuno si è spinto così avanti. Io, si. […] Quando la Filotex ufficializza la rinuncia al Giro scoppia la bomba. Gli organizzatori non possono accettarlo, mettono in campo addirittura un paio di ministri per fare pressioni. La linea Roma-Prato e Milano-Prato è rovente. Ma io sono irremovibile. “Non siamo schiavi. Abbiamo il diritto di dire di no».
Vincente fin dalle prime gare, si capisce subito che il più giovane dei Moser ha la stoffa del campione. Difficile da gestire, ma è uno che “morde” la strada. Subito dopo il gran rifiuto al Giro d’Italia e non prima di aver vinto alcune gare in Francia, si presenta a Pescara per il campionato italiano su strada.
«Pochi giorni prima del Tour, mi presento alla partenza del Campionato italiano forte delle belle vittorie in terra transalpina. Il titolo si assegna a Pescara in occasione del Trofeo Matteotti. È una giornata di caldo torrido, si ha difficoltà perfino a muoversi, figurarsi a pedalare a tutta. Il percorso di 260 chilometri è molto impegnativo, di quelli che piacciono a me, e con la temperatura di oggi è quasi proibitivo […] Vinco davanti a Valerio Lualdi e Costantino Conti, conquistando la prima maglia tricolore da professionista, dopo quella da dilettante. Nell’anno in cui ho detto di no al Giro, divento campione d’Italia. L’Italia mi ama e io sento di amarla».
Una delle 273 vittorie su strada che ne fanno il più vincente corridore italiano di tutti i tempi e il terzo al mondo. Impossibile nominarle tutte, così come difficile dire qual è la più bella. Certo ci sono alcune vittorie che, forse, sono, più belle di altre.
«È una domenica d’aprile del 1978. La Pasqua è stata celebrata da tre settimane, ma oggi è giorno di morte o resurrezione. È giorno di Parigi-Roubaix […]Nevischia alla partenza. Poi si scatenano gli altri elementi: pioggia, sole e vento […] A ventidue chilometri dal traguardo scatto. Maertnens e Raas tentano di venirmi a riprendere con De Vlaminck a ruota, ma resisto […] Appena entro nel velodromo il pubblico schizza in piedi. I francesi mi hanno adottato. Mi applaudono, scandiscono il mio nome […] Sto arrivando, amici. Sto arrivando. Alzo le braccia al cielo. Ed è arcobaleno su Roubaix».
La Parigi-Roubaix vinta per tre volte e l’amore dei francesi per Francesco Moser occupano certamente uno dei tre gradini sul podio nella speciale classifica delle vittorie più belle.
«Lunedì scendo in pista alle nove. Le tribune sono piene in ogni ordine di posto […] Fa ancora freddo e c’è vento. Gli uomini della Enervit sono nervosi […] Tranne Martini, nessun altro tecnico o direttore sportivo è giunto dall’Italia […] Fucacci ed Enzo mi aiutano a salire sulla bicicletta. Mi sento un bambino nelle loro mani. Mi imbullonano al mezzo meccanico e mi spingono. Sono una cosa sola con la bicicletta. Sono la bicicletta […] La tabella di marcia più ottimistica prevedeva un risultato vicino ai 51,2 chilometri. Sto sotto di pochissimo: chiudo coprendo 51 chilometri e 151 metri […] Balliamo sul tetto del mondo».
Il 51,151 realizzato a Città del Messico, nuovo record dell’ora e che proietta il ciclismo nel futuro, non sfigurerebbe sul secondo gradino del podio.
«All’ingresso di Verona l’urlo del pubblico sale di intensità. Solo all’imbocco del tunnel dell’Arena mi rilasso. In quei pochi metri di buio vedo una grande luce dai contorni rosati. Entro nell’anfiteatro ed è un tuffo nella luce e nella gioia. Un boato assordante scuote le fondamenta del secolare edificio e del mio animo. Ho corso a quasi 51 chilometri orari di media. Ho vinto il Giro d’Italia. Ho spezzato l’incantesimo […] Dopo il record dell’ora e la Milano-Sanremo, ecco il terzo atto della mia resurrezione. Oggi il paradiso è rosa».
La vittoria al Giro d’Italia non può che occupare il gradino più alto nel Palmarès di Francesco Moser. Il Giro che si era rifiutato di correre da giovanissimo e che gli creerà non pochi problemi per la sua futura carriera. Una vittoria che farà salire tutti sul carro del vincitore per “cantare” le lodi del campione che «ha riportato nei nostri anni Ottanta i giorni di Coppi e Bartali».
L’entrata all’Arena di Verona di quel 10 giugno del 1984 me la ricordo. Doveva recuperare 1 minuto e 21 secondi sulla maglia rosa, Laurent Fignon. Li recuperò e d andò oltre. Mi ricordo le mie lacrime di quel pomeriggio. Lacrime di gioia e di vicinanza per un atleta che aveva accompagnato la mia adolescenza e l’aveva traghettata nella gioventù. Lacrime liberatorie più belle di quelle versate per la Parigi-Roubaix, più intense di quelle versate per il record dell’ora. Lacrime indimenticabili e indimenticate perché vincere a casa propria è sempre più difficile che vincere altrove. Vale per noi, comuni mortali, valeva anche per Francesco Moser, il migliore di tutti.

Ho osato vincere, Francesco Moser con Davide Mosca (Mondadori, 2015. 222 pagine. 19,00 euro)

Che gusto c’è a fare l’arbitro

Diciamo la verità, da bambini nessuno vuole fare l’arbitro, così come nessuno vuole fare il portiere. Poi s’inizia a giocare e ci si rende conto dei valori in campo. A quel punto chi è meno capace è disposto a giocare anche anche in porta. L’arbitro però no, proprio no. Nessuno vuole farlo. Per questa ragione il titolo del libro di Nicola Rizzoli, Che gusto c’è a fare l’arbitro, è un titolo appropriato e che cattura l’attenzione.
«Quasi tutti quelli che parlano di calcio hanno giocato a calcio almeno una volta nella vita. Quasi tutti quelli che parlano di arbitri non hanno mai arbitrato una partita nella loro vita».
E già dall’esergo si capisce che Rizzoli ha ragione e che il libro promette bene. Siamo un Paese di allenatori, ma non di arbitri.
«Un’ultima occhiata alla borsa, poi chiudo la zip ed esco dalla stanza in punta di piedi. Anche la casa è avvolta nel silenzio e io voglio uscire senza svegliare mamma e papà. Loro non sanno niente, non sanno che è la mattina del mio debutto. Meglio risparmiare loro la tensione, e poi così sono più tranquillo anch’io».
L’arbitro bolognese svela, con grande acume, l’aspetto umano a cui in pochi prestano attenzione quando si parla di arbitri. Ci ricorda che gli arbitri sono dei ragazzi, ragazzi comuni con i sogni dei ragazzi comuni.
«una lezione che imparo sul campo, in un torneo undici contro undici organizzato a fine campionato tra le sezioni arbitrali dell’Emilia Romagna […] Ad arbitrare la finale del nostro torneo regionale viene quindi mandato un giovanissimo Pierluigi Collina […] Il giorno della partita sono emozionatissimo. Dopo qualche minuto in cui la fa da padrone l’agitazione per essere lì a giocarsi una finale (la prima della mia vita, per quanto insignificante), cominciamo a fare sul serio, con un buon ritmo. Siamo a metà del primo tempo quando dribblo un difensore, entro in area e, al minimo contatto, mi lascio cadere, sperando in quell’occhio di riguardo bolognese… Ma quanto mi sbagliavo! Non solo Collina non fischia nulla, ma mi guarda dritto negli occhi e mi urla: “Rizzoli, non fare Micca il furbo con me! Becchi male…».
Che il destino di Rizzoli fosse segnato lo si capisce fin dall’inizio della sua carriera e l’incontro con Pierluigi Collina, colui che sarebbe diventato il miglior arbitro del mondo, ne è una testimonianza in questo senso.
«Piango poi rido, piangiamo e ridiamo. Sembra una macchina con due pazzi dentro. Urlo, e poi ancora le lacrime agli occhi. Penso a come dirlo ai miei. A mia madre che sicuramente mi dirà: “Sì bravo, ma adesso non mollerai mica l’architettura!” A mio padre e a Lele che non ci avrebbero mai scommesso. In effetti sembra incredibile, anche se ci ho sempre creduto […] Rientro a casa a notte fonda, sul tavolo mia madre mi ha lasciato una piccola busta. C’è scritto: “Per Nicola Rizzoli”. La apro. Una monetina e un biglietto: “Ogni promessa è un debito. Non sono mai stato così contento di pagarne uno! Complimenti. Simone Ponzali».
Il libro è un susseguirsi di emozioni. Meglio, la trasposizione su carta e a posteriori delle emozioni forti che hanno accompagnato la brillante carriera di Nicola Rizzoli. Come il momento in cui apprende di essere diventato un arbitro di serie A e quello della designazione per la prima partita nel campionato italiano di calcio più importante.
«Aprono un’altra pallina verde e Pairetto mostra il fogliettino contenuto all’interno e dice: Venezia-Perugia, Serie A. Sposto immediatamente gli occhi su Bergamo che dice: “Vediamo chi va a Venezia…”. Mentre gira il foglietto mi guarda dritto negli occhi con sorriso: “Rizzoli! Sei pronto per la Serie A?. Oddio».
Un’ascesa che non conosce limiti e che lo porta dalla serie A italiana ai vertici del calcio europeo e mondiale.
«1° ottobre 2008, a quattro giorni dal mio compleanno, arbitrerò la mia prima partita di Champions League […] Appena entrato nello spogliatoio vedo i palloni appoggiati in una sacca sotto al tavolo. Sono tanti, una dozzina, li lasciano nel mio spogliatoio fino a qualche minuto prima della partita affinché io possa verificare se sono tutti a posto. Sopra, in bella mostra, c’è la scritta “UEFA Champions League”. Istintivamente ne afferro uno con entrambe le mani e me lo porto davanti alla faccia, poi chiudo gli occhi e inspiro profondamente. Lo so che sembra un gesto da matto, ma è un’abitudine che ho fin da bambino».
Un uomo e un arbitro di successo che coglie i frutti di un duro lavoro fatto di tante partite sui campi minori e tante ore passate a ripensare ai propri errori. Nel racconto della sua carriera Rizzoli giustappone agli accadimenti storici gli accadimenti emotivi. Svela le sue emozioni e le sue aspirazioni. I suoi, piccoli, segreti. Come per esempio l’abitudine di sentire il profumo del pallone prima dell’inizio di una partita. Lo fanno tanti bambini. Lo fanno tutti i bambini che sono innamorati del gioco del calcio. Lo fa Nicola Rizzoli, innamorato del calcio e del suo ruolo.
«Dopo cena, saluto tutti e vado in camera. Preparo la borsa con grande cura, ripetendo mentalmente l’elenco delle cose da portare, poi mi stendo sul letto e lascio rilassare gli occhi e la mente. Quindi, poco prima di dormire, proprio come ho fatto un anno fa per la finale di Champions League con quello della UEFA, mi sono seduto sul letto e, con ago e filo, cucio lo stemma Fifa sulla mia divisa rossa. Amo farlo personalmente, con le mie mani, come mi ha insegnato mia nonna tanti anni fa. È l’ultimo rito, il più importante, quello che più di tutti riesce a calmarmi».
Un amore e una passione che ha saputo trasformare in lavoro, ottenendo il massimo dei risultati a cui un arbitro può aspirare: arbitrare la finale del campionato mondiale di calcio. A lui è successo ed è successo nella patria per antonomasia del calcio, il Brasile. Il punto di arrivo di una lunga carriera che lo ha visto vincere sfide importanti. Un uomo di successo che dopo ogni risultato conseguito ha avuto la capacità di resettare e cominciare di nuovo con lo stesso entusiasmo della prima volta, cercando nuovi stimoli per nuovi successi. Soprattutto un arbitro che nutre una passione vera per il gioco del calcio e che, infondo al suo cuore, ha saputo custodire con cura il bambino che è in ognuno di noi.
«Mi lascio alle spalle i festeggiamenti di chi sta salendo le scale per andare a sollevare la Coppa del Mondo e comincio a camminare. Riesco a sentirmi finalmente solo con le mie emozioni. Mi trovo al centro, in mezzo ad almeno settantamila persone che urlano o piangono. Ora posso ammirare la cornice del Maracanà. Che spettacolo […] Ecco che gusto c’è a fare l’arbitro».

Che gusto c’è a fare l’arbitro, Nicola Rizzoli. A cura di Francesco Teniti (Rizzoli, 2015. 340 pagine. 17,50 euro)

Io, Ibra

L’autobiografia di Zlatan Ibrahimović è giunta alla sua quarta edizione. Una nuova edizione, ogni anno, a partire dal 2011, data della prima pubblicazione. Un successo editoriale che premia un lavoro sincero che rispecchia ciò che di pubblico si conosce di uno dei più forti calciatori al mondo.
Un libro sincero che conferma l’immagine che ognuno di noi si è fatto di Zlatan Ibrahimović e che insieme alla biografia sportiva del campione apre la porta di casa Ibrahimović svelando un’intimità che non tutti sarebbero stati capaci di svelare e di raccontare. Un libro che affronta ogni argomento in modo diretto, proprio come il calciatore che in campo da sempre tutto senza risparmiarsi, soprattutto non cerca alibi. Uno che accetta il gioco duro e non si lamenta per questo.
«Pep Guardiola – l’allenatore del Barcellona, quello con i completi grigi e l’aria pensierosa – venne verso di me, e sembrava pensieroso. A quell’epoca pensavo che fosse ok, non esattamente un Mourinho o un Capello, ma un tipo a posto». Leggi tutto

Il giorno perduto_Anthony Cartwright, Gian Luca Favetto

Il giorno perduto è il racconto di un viaggio e di una lunga attesa. Attesa che prende il sopravvento e aiuta a non pensare sempre e in modo ossessivo all’argomento centrale del libro: la tragedia dell’Heysel. Ovvero tutto è costruito affinché l’evento clou, la ragion d’essere stessa del libro, sia il punto di arrivo della narrazione. Alla fine della lettura ci si accorge però che l’attesa e il viaggio sono narrazione nella narrazione, per certi versi quasi svincolati dal contesto in cui sono inseriti.
Nel breve spazio temporale che separa la partenza dall’arrivo, i protagonisti compiono un viaggio nel viaggio e di-svelano la propria vita come in un romanzo di formazione, scoprendo la condizione nuova dell’età adulta.
«Se qualcuno vi racconta che gli anni Ottanta sono stati felici, non credetegli. Sono stati terribili. Per un paio di generazioni contemporaneamente in tutta Europa hanno rappresentato la fine dell’adolescenza e l’ingresso nell’illusione. Ma i film degli anni Ottanta sono formidabili. Il cinema degli anni Ottanta è l’adolescenza che resiste». Leggi tutto

Calcio Totale_Arrigo Sacchi

Nel grigiore dei campionati di calcio italiani, degnamente rappresentati da una nazionale che mai fu più povera tecnicamente, il Calcio Totale di Arrigo Sacchi, la bella autobiografia del «profeta di Fusignano» raccontata a Guido Conti, rappresenta un’ancora di salvataggio, una testimonianza preziosa per ricordarci che non è stato sempre così. Che ci fu un periodo in cui in Italia si giocava un calcio ammirato in tutto il mondo. Un calcio propositivo e sempre alla ricerca del gol, un calcio collettivo. Un calcio totale appunto.
Un libro che restituisce la figura di Arrigo Sacchi in tutta la sua grandezza sportiva e, contemporaneamente, nella sua fragilità di uomo che ha convissuto, fin dall’inizio della sua irripetibile carriera di allenatore, con un male che lo ha costretto ad abbandonare l’attività agonistica molto presto. Troppo presto. Leggi tutto

Football clan_Raffaele Cantone, Gianluca Di Feo

Il calcio di oggi è un grande affare economico ed è anche potere, per questo motivo la malavita organizzata è interessata al fenomeno calcio. Anche grazie a questo i valori sportivi sono sempre meno determinanti, mentre acquista centralità solo ed esclusivamente la vittoria. La vittoria sopra ogni cosa e a qualunque costo.
Da questo e dall’amore intimo e profondo che prova per il gioco del calcio, Raffaele Cantone, il magistrato che ha fatto condannare all’ergastolo Francesco Schiavone detto Sandokan, il capo del clan dei Casalesi, parte per un viaggio intorno al mondo del calcio e racconta il rapporto strutturale e antico che esiste tra la malavita organizzata (le mafie) e il calcio. Un grande atto di accusa non fine a se stesso, ma che termina con dieci proposte da rendere operative immediatamente per evitare che il «più bel gioco del mondo» possa rompersi definitivamente.
Riavvolgiamo dunque il nastro e ripartiamo dall’inizio, dall’introduzione a Football clan, in cui Cantone insieme alla denuncia introduce elementi di positività che aiutano a guardare con più ottimismo al futuro. Leggi tutto

Ho scelto di stare davanti alla porta, Sandro Mazzola

Siamo abituati a considerare i calciatori professionisti come persone felici e sorridenti, perché ricche e in grado di soddisfare qualsiasi bisogno. Non è vero oggi, non era vero a maggior ragione ieri, e questo libro di Sandro Mazzola, scritto con Marco Civoli, lo spiega molto bene.
Un’incipt che trasuda dolore e sofferenza, che racconta di un’Italia ricca di umanità e voglia di vivere. Un’Italia più bigotta, ma più vera: l’Italia del dopoguerra.
«Ancora oggi, non riesco a ricordare nessuno che mi abbia detto che il mio papà non c’era più […] Allora, avevo bisogno di sapere chi era mio padre e perché non l’avrei più visto […] È così comincia la mia vita, e i miei ricordi, in un giorno qualsiasi d’autunno del 1949, in un vecchio mulino vicino a Torino, dove la donna che stava con mio padre mi nascose per tenermi con sé».
Dopo la tragedia di Superga, in cui persero la vita Valentino Mazzola e il Grande Torino, Sandro Mazzola passa da una condizione privilegiata, essere il figlio del calciatore più popolare e, forse, ricco, d’Italia ad uno stato di povertà difficile da credere al tempo sfarzoso e finto che abitiamo oggi. Leggi tutto

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