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Zeman è per sempre

Da oggi Zdeněk Zeman non è più, ufficialmente, l’allenatore del Pescara. Dopo l’intervento chirurgico a cui si è sottoposto questa settimana e non avendo, per il momento, l’idoneità sportiva, ha rassegnato le sue dimissioni.

Molto probabilmente la carriera dell’allenatore boemo termina a Pescara, laddove nel 2012 aveva scritto una delle pagine più belle del calcio italiano con la promozione in serie A della squadra adriatica e lanciando nel grande calcio calciatori come Lorenzo Insigne, Marco Verratti e Ciro Immobile.

Termina la carriera di allenatore sul campo, ma non finisce l’influenza che eserciterà sull’intero movimento calcistico, perché l’efficacia e la bellezza del suo calcio offensivo continueranno a vivere nei movimenti in campo che altri allenatori insegneranno ai propri calciatori sulla scia del suo esempio.

Se consultate la lettera zeta della voce neologismi della Treccani troverete questa definizione.

Zemanlandia: s. f. Il sistema di gioco, fantasioso e votato all’attacco, ideato e adottato dall’allenatore di calcio boemo Zdeněk Zeman.

Ovvero la voce Zemanlandia, associata alla vocazione delle sue squadre di segnare moltissimi gol, non è solo un modo di dire, ma è scritta sul vocabolario. Si dice Zemanlandia e s’intende calcio offensivo. Per questa ragione Zeman è per sempre, resterà scritto, nero su bianco, sulle pagine della storia del calcio.

Rambaudi, Baiano e Signori a Foggia; Rambaudi, Alen Bokšić e Signori alla Lazio; Paulo Sérgio, Marco Delvecchio, Francesco Totti alla Roma; Mirko Vučinić, Valeri Božinov, Babù al Lecce; Marco Sansovini, Ciro Immobile, Lorenzo Insigne al Pescara.

Alcuni dei tridenti d’attacco delle squadre allenate da Zeman che hanno fatto la gioia di tantissimi tifosi e di tantissimi appassionati di calcio, perché l’allenatore di Praga ha sempre avuto molti estimatori anche tra i tifosi di squadre non sue.

A Zeman va il mio grazie per avervi fatto amare il calcio in tutti questi anni.

Amo la verità del suo calcio che si è sempre espressa con la ricerca del gol e della vittoria attraverso il bel gioco, il rispetto per gli avversari e per il pubblico.

Amo il suo modo di essere uomo, i valori che ha espresso con i suoi comportamenti, il coraggio di denunciare l’esistenza del doping nel calcio italiano. Il suo essere, sempre, un hombre vertical.

Amo la sua ironia e la sua leggerezza. Il suo sorriso.

Gli auguro di rimettere al più presto la tuta e di ritornare su un campo di calcio per continuare a dare consigli, trasmettere alle nuove generazioni di allenatori l’unica cosa che conta nel suo modo di intendere il calcio: «Non è vero che non mi piace vincere: mi piace vincere rispettando le regole».


La foto che accompagna l’articolo è di Massimo Mucciante

Le lacrime Paulo Dybala e il calcio senza cuore

Nella stagione degli addii alla propria squadra o al calcio giocato, Chiellini e Lorenzo Insigne tanto per gradire, ce n’è uno che mi ha molto colpito: l’addio di Paulo Dybala.

Dybala non ha scelto di andare via dalla Juventus, ma è stata la squadra bianconera che non gli ha formulato nessuna offerta di rinnovo per il contratto che scade proprio in questi giorni.

Mi sono chiesto, io come tanti credo, perché una squadra di prima fascia in Italia com’è la Juventus, non propone il rinnovo di contratto ad un calciatore ritenuto da tutti fortissimo e che, soprattutto, è nel pieno della sua maturità calcistica?

Dybala è nato in Argentina, a Laguna Larga, il 15 novembre del 1993 e compirà 29 anni il prossimo novembre.

La Juventus, con il vicepresidente Paul Nedved, ha dichiarato a tal proposito, «Abbiamo valutato tutti gli aspetti, quello che fa in campo e fuori. Faccio fatica a dire dove si sia arenata la trattativa, ma le sue richieste erano altissime. Noi non ce la sentivamo, le strade si sono divise. Non vuol dire che il giocatore non sia valido, anzi, è molto forte».

Ciò significa che nel prossimo mercato i bianconeri dovrebbe acquistare un calciatore con le caratteristiche di Dybala e spendere meno, tra acquisto del cartellino e contratto al calciatore, rispetto alla cifra richiesta dall’argentino. Staremo a vedere cosa succede.

Per il momento la scelta appare molto naïf è non condivisibile da nessun punto di vista.

Ovvero se hai un calciatore con la qualità di Dybala e dichiari, così come ha dichiarato Massimiliano Allegri nel prepartita dell’addio dell’argentino, «Il prossimo anno dobbiamo prepararci per vincere lo scudetto», non lasci andar via a parametro zero un patrimonio calcistico di questo valore. Se lo fai vuol dire che non hai le risorse economiche sufficienti per allestire una squadra che possa puntare agli obiettivi che dichiari.

«Il mondo è tutto ciò che accade» scrive Ludwig Wittgenstein e dunque quel che è fatto è fatto.

Tralasciando dunque le scelte strategiche della Juventus resta la reazione di Dybala che in molti hanno potuto vedere alla fine della partita Juventus Lazio.

Un pianto senza freni inibitori del calciatore, ormai ex juventino, che ha reso e rende più umano un mondo sempre più finto com’è quello del calcio nostrano.

Lacrime belle che ho percepito come vere, sentite. Il bambino, il ragazzo o il giovane uomo a cui hanno appena tolto il suo giocattolo preferito che piange in pubblico, davanti a tutti. Che svela la sua condizione d’animo, il suo dispiacere. Che rivela mentre si svela, il suo attaccamento alla squadra e ai tifosi.

Siamo sempre meno abituati a questo, paradigmatico in questo senso è il trasferimento di Donnarumma al PSG della scorsa estate, perché sempre più dentro un meccanismo in cui ciò che conta sono soltanto i soldi. Non conta più la passione, l’attaccamento alla squadra e ai tifosi. La riconoscenza.

Le lacrime di quel giovane uomo, in uno stadio pieno in ogni ordine di posto, raccontano un altro film. Un’altra storia. Una storia in cui le emozioni, la voglia di continuare a giocare per i colori che hai scelto prevalgono sul resto. Una storia nella quale ci possiamo riconoscere tutti. Tutti quelli che amano il gioco del calcio e che per una volta ci vede tutti dalla stessa parte: juventini, milanisti, interisti, romanisti, laziali, napoletani.

Quelle lacrime, così come restare dopo la partita seduto sul prato verde del campo di calcio, senza scarpe, a piedi nudi sull’erba, con un compagno di squadra a godersi il momento, ci dicono che «la cosa più importante tra le meno importanti», il calcio, continua ad essere un porto sicuro in cui trovare riparo. Uno dei luoghi dove continuare a dare spazio al bambino che è in ognuno o di noi.

Foggia pazza di Zeman: siamo tutti zemaniani

«Mi sento migliorato rispetto a quando ero giovane», in otto parole la risposta di Zdeněk Zeman a chi, in questi giorni, ha sostenuto che era un po’ avanti con gli anni per continuare ad allenare.

A sentirlo, dalla pancia dello Zaccheria, lo stadio dove è nata Zemanlandia, ma soprattutto a guardarlo è lo Zeman di sempre.

Serio ma non serioso. Con la battuta sempre pronta. Con la filosofia calcistica di sempre, il calcio deve divertire i tifosi.

E sulla stessa lunghezza d’onda il neopresidente del Foggia, Nicola Canonico, che rispondendo a chi gli chiedeva degli obiettivi per il prossimo campionato, rispondeva all’unisono con il maestro venuto da Praga, vogliamo far divertire i tifosi.

Siederà sulla panchina del Foggia per la quarta volta e per la presentazione alla stampa è arrivato allo stadio accompagnato da Peppino Pavone. Se dici Zemanlandia pensi a Zeman e Pavone, manca all’appello il presidente, Pasquale Casillo, colui che rese possibile la nascita di una delle squadre più belle e divertenti del calcio italiano.

Da oggi inizia una nuova era per i tifosi del Foggia, per l’intera Capitanata. Lo Zaccheria, una sorta di zona franca, un’oasi nel deserto che è diventata la città che tanto piaceva a Federico II.

Può essere molto utile la presenza di Zeman in questo momento. Può essere utile la sua idea di calcio sempre votata all’attacco e a migliorare il patrimonio umano a disposizione perché ci ricorda che si può migliorare sempre e a qualsiasi età.

Certo non dobbiamo dimenticare che è solo calcio, che sono ventidue persone che corrono in mutande dietro ad un pallone. Ma come hanno scritto alcuni tra i più grandi intellettuali di tutto il mondo, ciò che accade dentro un campo di calcio è, spesso, una metafora del mondo, di ciò che ci accade nella vita di tutti i giorni. E insieme è un modo di costruire comunità. Unità di intenti.

Non conta solo vincere per un allenatore come Zeman, conta soprattutto come si vince. In una società sempre più alla ricerca del successo, a prescindere, questo modo di relazionarsi al calcio è un’ottima cura.

Alla fine della conferenza stampa di presentazione alla città, il presidente del Foggia ha donato una maglia al neoallenatore dei satanelli con una scritta al centro: Bentornato a casa, maestro.

Un concetto vero, come è altrettanto vero che ci sono personaggi pubblici che appartengono a tutti, e Zeman è uno di questi.

Bentornato nel calcio mister Zemàn, siamo tutti zemianani.

Zeman e Foggia: non è solo calcio

Il maestro di Praga non deve dimostrare niente a nessuno, tantomeno a Foggia e ai foggiani.

Quest’anno è diventato cittadino onorario della città di Umberto Giordano, un riconoscimento giusto e meritato per un allenatore che ha portato i colori rossoneri al punto più alto della loro storia calcistica.

Tra pochi giorni inizierà una nuova storia sportiva con i satanelli del Foggia e i tifosi rossoneri, dopo anni di tribolazioni e sofferenze, sono autorizzati, di nuovo, a sognare.

È bastata una foto che lo ritraeva con i nuovi proprietari della squadra di calcio del capoluogo dauno perché la notizia diventasse virale. Ne hanno scritto tutti, ma proprio tutti, i quotidiani cartacei. Ne hanno dato notizia tutti, ma proprio tutti, i giornali on line. Ne hanno parlato tutti, ma proprio tutti, i telegiornali e le trasmissioni sportive nazionali e locali.

Per questa semplice ragione Zeman e Foggia non è solo calcio.

La città vive uno dei momenti più bui della sua storia. Dopo l’arresto del sindaco è arrivato in città il Commissario prefettizio. I processi diranno qualcosa in più sulla compromissione del ceto politico locale. La malavita organizzata, Società Foggiana, ha radici solide in città. Il degrado è ovunque ed è, plasticamente, visibile a tutti sia che si arrivi in città da sud sia che lo si faccia da nord.

La comunità foggiana è come stordita dagli eventi e fa fatica ad organizzare una risposta democratica e civile. Ci sono piccoli movimenti in atto, tentativi di rompere il muro dell’afasia che cinge d’assedio la città dei giusti che in questi anni sono stati umiliati e resi non operativi.

Si vive un’attesa perenne, come se si stesse attendendo un segnale, nuova linfa per ripartire.

Può il calcio, un allenatore di calcio, rappresentare questa nuova linfa? Essere stimolo e slancio per un’intera comunità?

Io penso di si e vi spiego le mie ragioni.

La ragione, perché non si tratta di ragioni al plurale, ma al singolare, è una sola: l’esempio.20Il calcio come tutte le manifestazioni autenticamente popolari ha una grande capacità di condizionare la vita di una comunità, nel bene e nel male. Al sud, e per sud intendo il sud del mondo, lo è ancora di più, perché spesso è l’unica forma di emancipazione concessa. Gli atleti, i cantanti, gli attori, gli uomini e le donne di spettacolo in genere, sono da sempre dei modelli, da seguire, imitare.

Allo sportivo, al cantante, all’attore, non servono parole per creare dipendenza, basta l’esempio. Basta una canzone, un film, una vittoria sportiva.

Nel caso di Zeman, icona della correttezza e della sportività in un mondo sempre più compromesso, la sua funzione maieutica può essere la linfa di cui ha bisogna la comunità foggiana in questo momento.

«La mia arte di maieutico in tutto è simile a quello delle levatrici, ma ne differisce in questo, che essa aiuta a far partorire uomini e non donne, e provvede alle anime generanti e non ai corpi…».

È Platone che fa dire queste parole a Socrate in un passo molto noto del Teeteto.

Allo stesso modo, Zeman il muto, senza proferire parola può, con la testimonianza della sua vita e con tutto ciò che si appresta a vivere all’età di 74 anni, innescare un circolo virtuoso.

Una vita spesa ad allenare inculcando nei suoi calciatori, ma anche nel pubblico che lo ha sempre adorato, principi di correttezza e rispetto dell’avversario. Che si può anche essere ultimi e che non c’è nessuna vergona ad essere ultimi se si è agito al meglio delle proprie possibilità.

Un duro lavoro di preparazione rende le sue squadre imbattibili, certo, sul piano della corsa, spesso anche su quello del gioco. Un lavoro lungo, lento, in profondità. Una sorta di disintossicazione per ripartite con più forza nelle gambe, ma soprattutto nella testa e nel cuore,

Se a 74 anni è pronto a ricominciare da una panchina di serie C, con i valori di sempre e con lo stesso entusiasmo, vuol dire che la sua vera forza, la sua “invincibilità” risiede proprio in quei valori, in quei principi.

Se ce l’ha fatta lui, perché non ce la possiamo fare anche noi?

Sarà un lavoro lungo e duro. In profondità. Servirà estirpare il male dalla radice e non sarà indolore. Servirà coraggio, abnegazione e forza di volontà. Un duro lavoro che tocca a noi, ora e adesso, cominciare.

È tornato il tempo di giocare all’attacco e non più solo in difesa.

È tornato il tempo di camminare a testa alta e tornare a dire: io sono foggiano.

Da sabato prossimo parleremo di calcio giocato, di verticalizzazioni. Di catene di destra e di sinistra. Di attaccare la profondità. Di gradoni, si dei benedetti gradoni.

Ma oggi e da oggi pensiamo a cambiare in meglio lo stato delle cose, se lo facciamo tutti insieme si può.

Umberto e Saba e il gioco del calcio

Il 25 agosto del 1957, sessantatrè anni fa, moriva Umberto Saba.

Il poeta di Trieste è stato il primo, nella nostra letteratura, a dedicare attenzione al calcio.

Saba non era un appassionato di questo sport e non lo seguiva, ma per una serie di coincidenza e grazie ad un suo amico assistette ad una partita tra la Triestina e l’Ambrosiana che finì sullo 0-0.

Colpito da ciò che aveva visto e sempre nello stesso periodo, assistette, questa volta senza la sollecitazione di nessuno, ad una partita infrasettimanale del Padova.

Da queste due esperienze nasce l’ispirazione che lo portò ascrivere Cinque poesie sul gioco del calcio. Vi propongo quella che s’intitola, Tre momenti.

Di corsa usciti a mezzo il campo, date
prima il saluto alle tribune.
Poi, quello che nasce poi,
che all’altra parte rivolgete, a quella
che più nera si accalca, non è cosa
da dirsi, non è cosa ch’abbia un nome.

Il portiere su e giù cammina come sentinella.
Il pericolo lontano è ancora.
Ma se in un nembo s’avvicina, oh allora
una giovane fiera si accovaccia
e all’erta spia.

Festa è nell’aria, festa in ogni via.
Se per poco, che importa?
Nessuna offesa varcava la porta,
s’incrociavano grida ch’eran razzi.
La vostra gloria, undici ragazzi,
come un fiume d’amore orna Trieste.

La partita finì 0-0 e il poeta così c’informa del risultato, Nessuna offesa varcava la porta.

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