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Beha, Pecci e Zanetti, un tris d’assi per Pagina Tre

      

Oliviero Beha, Eraldo Pecci e Javer Zanetti, sono stati gli ospiti, prestigiosi, di Pagina Tre, rispettivamente nella 3ª, 4ª e 5ª puntata di Calcio Totale.
Autori di tre libri diversi eppure molto simili. Tre libri in cui al centro della narrazione c’è la vicenda umana del protagonista, prim’ancora della vicenda sportiva. Una narrazione in cui la vicenda sportiva funge, quasi da contorno, in qualche misura completa il racconto.
Il libro di Beha, Un cuore in fuga, racconta la vicenda umana di Gino Bartali che, approfittando della fama che il ciclismo gli aveva regalato, salva da morte sicura molte uomini e donne ebrei in una Firenze martoriata dalla guerra. Un campione nella vita così come sulle strade di mezzo mondo.
Eraldo Pecci racconta la storia dello scudetto che vinse con la maglia gloriosa del Torino nella indimenticabile stagione calcistica 1975/76, Il Toro non può perdere il titolo del libro. E anche in questo caso, accanto alla narrazione sportiva ci sono protagonisti e vicende umane che superano anche quella vittoria che può, a ragion veduta, considerarsi storica.
Javer Zanetti con Giocare da uomo ha emozionato lo studio e i telespettatori con la sua passione autentica per un calcio pulito, ma soprattutto per il suo essere una bella persona. Anche in questo caso il libro ripercorre la sua straordinaria carriera ricca di trionfi sportivi, ma racconta di un Pupi, è il nome con cui affettuosamente viene chiamato Zanetti, attento alla vita di tutti i giorni e dei più bisognosi.

Un cuore in fuga, Oliviero Beha_(2014, Piemme, 266 pagine. 14,90 euro)
Il Toro non può perdere, di Eraldo Pecci (2013, Rizzoli, 288 pagine. 18 euro)
Giocare da uomo. La mia vita raccontata a Gianni Riotta, Javer Zanetti_(2013, Mondadori, 300 pagine. 17,50 euro)

Il Toro non può perdere, Eraldo Pecci

Scrive Gianni Mura nella prefazione: «questo, che sembra un libro rievocativo dello scudetto ’76, in realtà è una storia d’amore e a me piacciono le storie d’amore». Leggendo queste parole mi sono tornate in mente altre parole, lette tanti anni fa, che delimitano e restringono il concetto espresso da Mura. «Tutte le storie sono storie d’amore», scrive Robert McLiam Wilson in Eureka street. E ciò che racconta Eraldo Pecci ne il Il Toro non può perdere è davvero una bella storia, una bella storia d’amore. La narrazione di un mondo che non c’è più, «Erano altri tempi, torno a dirlo» scrive sempre Mura, travolto e cambiato da un’omologazione del pensiero che non ha eguali nell’evoluzione dei comportamenti umani. Un’umanità, rievocata anche nelle pagine scritte da Eraldo Pecci, che c’informa di un Paese migliore, sano e ricco di futuro.
La magica stagione ’75-76, il sottotiolo del libro, è la stagione della conquista dell’ultimo scudetto del Toro, uno scudetto che Pecci conquista al primo anno con la maglia granata. Una maglia passata direttamente dalla storia alla leggenda nel pomeriggio del 4 maggio 1949, il giorno del tragico incidente che causò la morte di un’intera squadra che aveva vinto cinque scudetti consecutivi.
Il giovane Eraldo si accorge fin dal primo momento che indossare la maglia granata è un privilegio e nello stesso tempo molto difficile.
«La differenza che c’è tra le città d’Italia dove ci sono due squadre e Torino è che a Torino ci sono “loro”, i gobbi. A Milano succede che in un certo periodo vada meglio il Milan e in un altro l’Inter. Succede così anche a Roma tra Lazio e Roma o a Genova tra Genoa e Sampdoria. A Torino no, a Torino ci sono “loro”, che sono padroni del giornale, padroni della tv, padroni della banca e, tramite la Fiat, padroni della città. Non c’è gara».
Eppure in quell’annata, calcisticamente fantastica e irripetibile, il Toro vinse lo scudetto conquistando 45 punti contro i 43 della Juventus. Era il Toro del “giaguaro”, dei “gemelli del gol”, del “poeta”. Questa la formazione titolare: Castellini, Santin, Salvadori, Patrizio Sala, Mozzini, Caporale, Claudio Sala, Pecci, Graziani, Zaccarelli, Pulici. Una squadra efficace e bella da vedere che rinverdì, anche se per pochi anni, i fasti del “Grande Torino”. Una squadra che giocava in velocità con un pressing alto in fase di non possesso palla che solo molti anni dopo si rivedrà, applicato sistematicamente, nel campionato italiano di calcio. Una squadra ruvida e nello stesso tempo con un alto tasso tecnico garantito da calciatori che hanno segnato la storia calcistica non solo del Toro. Paolo Pulici, Ciccio Graziani, Claudio Sala, Renato Zaccarelli, lo stesso Eraldo Pecci.
Ma un’impresa, perché quella del Toro del 1975 fu una vera impresa, non si realizza soltanto con gli undici calciatori che la domenica vince le partite sul terreno di gioco. Un’impresa come quella realizzata dal Torino nella stagione sportiva 1975/76 si costruisce se c’è un gruppo allargato di persone che lavora e vive in armonia. Questo gruppo Pecci non l’ha dimenticato, anzi è proprio a loro che dedica le pagine più belle del suo libro. Bruno Vigato (il magazziniere), la signora Franca (responsabile spogliatoio “Fila”), la famiglia Pasotti (il ristorante del circolo del Toro), Domenico Magrini (l’artigiano delle scarpe da calcio), il signor Porzio (addetto all’arbitro), Giacomo Franco detto “Nino” (accompagnatore di Radice), Bruno Colla e Giovanni Monti (massaggiatori), sono solo alcuni rappresentanti della fauna umana presente nel libro e che rese possibile, assieme ai calciatori ovviamente, quello splendido trionfo sportivo.
Pecci non dimentica niente e nessuno. C’è spazio infatti anche per la letteratura con Giovanni Arpino e la sua Me grand Turin, così come c’è, ovviamente, il giusto spazio per Luciano Orfeo Pianelli che Pecci definisce come «il miglior presidente che ho avuto in tanti di carriera […] Mi fermo ancora oggi al cimitero di Villefranche a salutare il mio Pres davanti alla tomba che divide con donna Cecilia. Sulla lapide ci sono spesso fiori freschi, a volte fiori di tifosi granata».
A questo si giustappone la narrazione degli eventi sportivi che determinarono quella storica vittoria. Le partite, i gol, gli aneddoti, i protagonisti. A completare il tutto 34 fotografie (più 2 della copertina), quasi tutte in bianco e nero, che hanno la capacità di saper riavvolgere il nastro dei ricordi e trasportati, per il tempo della lettura, ad esultare con Pulici e Graziani, con Castellini e Claudio Sala e, ovviamente, con quel ragazzo dall’accento bolognese e la maglia numero 8 sulle spalle: Eraldo Pecci.

Il Toro non può perdere, Eraldo Pecci (2013, Rizzoli, 288 pagine. 18 euro) 

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