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Quel tiro a giro di Lorenzo (Insigne) e la pioggia di messaggi su WhatsApp

Lorenzo Insigne con il suo gol al Belgio ha illuminato a giorno i Campionati europei di calcio. Una giocata che, da oggi in poi, impone a tutti di dire gol alla Insigne.

Lorenzo, il primo violino, Insigne coltiva quel modo di cercare il gol fin dall’inizio della sua carriera. «Ha segnato gol straordinari e riproposto, in versione aggiornata e personalizzata, il gol “a giro” sul secondo palo di Alessandro Del Piero […] Corsa, visione di gioco, piedi buoni e una sufficiente dote di altruismo ne fanno già oggi, a ventuno anni e con pochissima esperienza maturata sul campo, uno dei calciatori più completi del calcio italiano […] Gioca un calcio semplice, fatto di finte, dribbling e ha una straordinaria visione di gioco…».

Questo è un breve passo tratto dal libro “Il Pescara di Zeman” che scrissi con Sergio Cinquino nel 2012 all’indomani della vittoria del campionato di serie B del Pescara di Zeman. In quella squadra giocavano, insieme, Verratti, Immobile e Insigne.

«Il tempo è un galantuomo, rimette a posto tutte le cose» scrive Voltaire e nel caso di Insigne è proprio così. Il campione di Frattamaggiore era già un calciatore fortissimo quando, Gian Piero Ventura, il peggior commissario tecnico della nazionale di tutti i tempi, lo lasciava in panchina. O quando ad allenare il Napoli c’era Mazzari che invece di incoraggiare e coltivare quel talento scoperto ed esploso calcisticamente alla scuola di Zdeněk Zeman, lo lasciava ai margini del suo progetto di calcio per il Napoli.

C’è voluto Roberto Mancini per far emergere e rendere evidente a tutto il mondo il talento cristallino di Insigne. Così come fece Zeman, il tecnico della nazionale italiana ha messo al centro del suo progetto tecnico la classe, l’abnegazione e la disciplina tattica di un giocatore che da diversi anni ormai è, per distacco, il miglior calciatore italiano in attività.

Adesso, finalmente, se ne sono accorti tutti. Adesso, nel pieno della sua maturità umana e calcistica, può e deve decidere al meglio per il suo futuro e stare lontano da tutti gli allenatori che mettono al centro del progetto tecnico loro stessi. Ce ne sono molti e hanno in comune una caratteristica che li contraddistingue e li accomuna: amano filosofeggiare con presunzione.

E invece il calcio bello è sempre figlio di pensieri semplici che si ripetono. E soprattutto è figlio della gioia di vivere e di considerare il calcio per quello che è: un gioco.

Insigne, la stella più luminosa di Euro2020, stia alla larga da tutti quegli allenatori che già dalla prima amichevole estiva camminano nervosamente davanti alla propria panchina guardando a terra o con lo sguardo perso nel vuoto e che non ridono mai. Cerchi, per il suo futuro calcistico, un allenatore che abbia le caratteristiche di Mancini. Un allenatore che trasmetta serenità, voglia di giocare al calcio e che esalti le sue qualità tecniche e umane.

La partita con il Belgio l’hanno vinta i calciatori italiani sul campo, tutti. Il bel calcio che questa nazionale esprime è certamente frutto del lavoro e dell’applicazione dei calciatori in allenamento e in partita. Ma senza un allenatore come Roberto Mancini non ci sarebbero mai riusciti da soli. La qualità migliore dell’allenatore nato a Jesi e oggi cittadino del mondo è quella di far giocare ogni singolo calciatore nel proprio ruolo, garantendo a tutti di esprimere le proprie qualità.

Non è una cosa da poco, al contrario è tutto. Chapeau.

Euro2020, l’attesa per Belgio-Italia

I numeri nel calcio sono importanti, ma non sono tutto.

I numeri dicono che delle quattro partite dei quarti di finale di Euro2020, tre hanno una favorita e una soltanto è in bilico.

Il ranking UEFA per nazioni vede infatti le otto squadre rimaste in lizza per la vittoria finale, rispettivamente in queste posizioni: Inghilterra (prima), Spagna (seconda), Italia (terza), Belgio (nona), Ucraina (dodicesima), Danimarca (quattordicesima), Repubblica Ceca (diciassettesima) e Svizzera (diciannovesima).

Ovviamente i numeri non sono tutto e il prossimo avversario dell’Italia, il Belgio, è molto temibile.

Una squadra ben organizzata con tanti calciatori di talento in rosa. De Bruyne, Hazard, Mertens, Courtois e Romelu Lukaku, sono atleti di primissima fascia. Campioni in grado di risolvere la partita in qualsiasi momento sia con giocate personali sia con trame di gioco collettive.

Sarà una partita difficile per i ragazzi di Roberto Mancini.

Conterà molto la condizione fisica, se gli azzurri saranno brillanti come nelle prime tre partite disputate fino ad oggi la gara potrebbe essere più semplice del previsto.

La nazionale italiana di calcio fonda la sua ragione d’essere sul gioco. Un ordito imparato a memoria da tutti i protagonisti scelti da Mancini, questa la certezza degli azzurri. La squadra è sempre alla ricerca della palla e predilige giocare nella metà campo avversaria. Utilizza molto l’ampiezza del campo di gioco, ma non disdegna giocate in verticale utilizzando l’attitudine di Immobile ad attaccare la profondità. Un gioco bello da vedere, ma molto dispendioso da un punto di vista fisico che richiede perciò una condizione ottimale.

L’Italia vista nelle prime tre partite è stata una squadra molto reattiva, veloce e resistente. Ci sarà bisogno delle stesse, identiche, qualità.

Se la difesa è affidabile e difficilmente tradisce grazie anche al grande lavoro di Jorginho e dei suoi compagni di reparto, i tre attaccanti dovranno superarsi ed essere determinati per continuare un percorso fino ad oggi esemplare.

Ci sarà bisogno del miglior Lorenzo Insigne e dei gol di Ciro Immobile. Di rivedere il Berardi dei tempi migliori, il calciatore in grado di saltare sistematicamente l’uomo e di cercare i compagni di reparto. Mai come in questa partita i destini degli azzurri sono nei piedi degli attaccanti.

E se loro tre non dovessero bastare ci sarebbe sempre Federico Chiesa, l’uomo in più che l’Italia ha e le altre squadre non hanno. Fino ad oggi è stato esemplare, determinante. Euro2020 può consacrarlo come uno dei migliori calciatori d’Europa, deve trovare una continuità maggiore nelle giocate e, soprattutto, giocare di più per la squadra e con la squadra. Questo è il salto di qualità che gli si chiede.

Se sarà capace di fare questo l’Italia potrà contare su un campione vero per molti anni ancora.

Euro2020, l’Italia di Mancini (e Vialli), gemelli del gol

Dalla metà degli anni Ottanta e fino agli Novanta sono stati i Gemelli del gol. Dicevi Mancini e pensavi a Vialli, dicevi Vialli e pensavi a Mancini. Certo nel decennio precedente c’erano stati Pulici e Graziani che vinsero lo scudetto con il Torino di Gigi Radice, ma i ragazzi blucerchiati del presidente della Sampdoria, Paolo Mantovani, con le loro vittorie e la bellezza della loro gioventù resteranno per sempre i Gemelli del gol.

La partita Italia-Austria è durata novantacinque minuti e dopo un breve riposo è iniziato il primo tempo supplementare. Correva il minuto numero cinque quando Spinazzola, ancora una volta premiato dall’EUFA come miglior calciatore in campo, serve Federico Chiesa che si fa trovare pronto sul versante destro dell’attacco italiano. Dopo uno stop acrobatico e un notevole gioco di gambe, l’esterno azzurro segna la rete del vantaggio.

Ed è qui che bisogna fare un applauso grande, grandissimo, all’operatore che è riuscito ad immortalare l’immagine più bella di questo Campionato europeo di calcio.

Come se il tempo non fosse passato. Come quando giocavano e vincevano sui campi di calcio di tutta l’Italia. Come quando erano giovani, belli e amati da tutti. I Gemelli del gol ci fanno rivivere una scena alla quale abbiamo assistito tante volte.

Gianluca Vialli cerca Roberto Mancini e gli va incontro con le braccia allargate. Il Mancio cerca il suo numero nove e gli va incontro con le braccia allargate. Per un attimo il tempo è come sospeso. Un fermo immagine poco prima dell’abbraccio li ritrae sorridenti e felice proprio come quando segnavano con la maglia della Sampdoria e vincevano lo scudetto a Genova.

La posa è plastica. I loro corpi sono in tensione. Si guardano negli occhi e si abbracciano forte e a lungo.

Ho pianto di gioia. Penso lo abbiano fatto in molti ieri sera,

Mi sono tornate in mente le immagini di quando giocavano e segnavano ed erano felici.

Nell’immagine di ieri sera c’era la stessa carica agonistica, la stessa vigoria fisica. La stessa determinazione che li ha portati ad essere tra i migliori calciatori italiani di sempre.

C’era la cosa più importante di tutte: l’amicizia. La fratellanza.

Ecco cosa è capace di evocare una partita di calcio. Cosa è capace di evocare un gol.

L’indimenticato Luciano De Crescenzo fa dire al poeta in Così parlò Bellavista, «San Gennaro mio, non ti crucciare, lo sai che ti voglio bene. Ma na finta ’e Maradona scioglie ’o sanghe dind’e vene… E chest’è!».

La forza evocativa delle parole e dei gesti.

Mi verrebbe da pensare che anche ieri i calciatori italiani non si sono inginocchiati prima del fischio d’inizio della partita e a quanto sarebbe stato importante quel semplice gesto per tanti ragazzi e ragazze che si stanno esaltando per le loro vittorie.

Ma non voglio rovinarmi la gioia che mi ha procurato l’abbraccio tra Vialli e Mancini perché in quell’abbraccio ci sono tante cose. C’è la vita che continua e che va avanti.

Roberto Mancini, il fuoriclasse dell’Italia

«Se stessi con un vestito bianco a un matrimonio e arrivasse un pallone infangato, lo stopperei di petto senza pensarci», sono parole del più grande calciatore di tutti i tempi, passati e futuri, Diego Armando Maradona. Parole che esprimono, come meglio non si potrebbe, la passione per il gioco del calcio e il sentimento che prova chiunque ami questo sport quando vede rotolare davanti ai propri piedi un pallone.

Ed è esattamente ciò che è successo a Roberto Mancini, il commissario tecnico della nazionale italiana, nel corso dell’ultima partita degli azzurri.

La palla è nel cerchio di centrocampo tra i piedi del centrale difensivo del Galles che prova a cambiare gioco per la sua squadra con una lunga apertura alla sua sinistra per servire un compagno di squadra posizionato sulla linea di fondo in corrispondenza della panchina italiana.

Mancini segue la partita in piedi, al limite dell’area tecnica riservata agli allenatori ed è poco distante dalla linea di fondo.

Guardando la traiettoria del pallone capisce che sarà troppo lunga per il calciatore del Galles e, istintivamente, comincia ad arretrare verso la sua panchina. Arretra e guarda il pallone, poi con un gesto tanto naturale quanto elegante colpisce la palla di tacco smorzandone la corsa.

Sarà il gesto tecnico più bello di tutta la partita, un colpo da fuoriclasse.

Fuoriclasse lo è stato da calciatore, fuoriclasse si sta dimostrando anche come allenatore.

Fu acquistato per 700.000 lire dal Bologna quando aveva solo tredici anni e si trasferì da Jesi a Bologna. A 17 anni l’esordio in prima squadra e in serie A. Un predestinato che ha riscritto la storia sportiva della Sampdoria portandola a vincere uno storico scudetto e sfiorando la vittoria in Coppa dei Campioni, sogno svanito nella notte del 20 maggio 1992 a Wembley contro il Barcellona.

Dopo 15 anni nella Sampdoria, tre anni alla Lazio ricchi di vittorie e soddisfazioni.

Uno scudetto, la Coppa delle Coppe, una Supercoppa UEFA, due Coppe Italia e una Supercoppa italiana.

Avrebbe potuto giocare nella Juventus, nell’Inter o nel Milan, nelle squadre che solitamente vincono in Italia, ma scelse di restare alla Sampdoria e di provare a vincere a Genova. E ci riuscì.

A 35 anni smette con il calcio giocato e siede in panchina come secondo di Sven-Göran Eriksson alla Lazio. Poi allenerà Fiorentina, Inter (due volte), Manchester City, Galatasaray, Zenit San Pietroburgo e oggi la nazionale italiana.

Anche da allenatore le vittorie sono tante.

Una Coppa Italia con la Fiorentina e una con la Lazio, tre scudetti, due Coppe Italia e una Supercoppa italiana con l’Inter in Italia. Un campionato inglese, una Coppa d’Inghilterra e una Community Shield con il Manchester City. E infine una Coppa di Turchia con il Galatasaray.

Alla guida della nazionale italiana con 30 partite consecutive senza sconfitte, ha eguagliato il record di Vittorio Pozzo.

Un fuoriclasse anche in panchina.

Non ha mai avuto la grande stampa sportiva dalla sua parte, né da calciatore, tantomeno da allenatore. Anche oggi continua ad essere così perché dopo la serie incredibile di risultati positivi che sta conseguendo la nazionale italiana, non si leggono lodi all’allenatore. Si tende a sminuire il valore di queste vittorie attribuendole allo scarso valore degli avversari.

Sbagliarono a non esaltarlo da calciatore, sbagliano a non esaltarlo da allenatore della nazionale italiana.

Dopo il disastro sportivo di Gian Piero Ventura, sembrava un’impresa impossibile risollevare le sorti della nazionale italiana. E invece Roberto Mancini da Jesi ci è riuscito.

La sua nazionale gioca un bellissimo calcio e, soprattutto, vince.

Non sappiamo come proseguirà il cammino degli azzurri in questi campionati europei, sappiamo però che fino ad oggi ha vinto tre partite su tre e ha divertito i tifosi.

È un grande allenatore e vincerà anche con la maglia azzurra. Basta dargli tempo e fiducia totale come fece Paolo Mantovani alla Sampdoria. Riscrisse, insieme ai suoi compagni di squadra, la storia calcistica di quella squadra; oggi è pronto per arricchire la bacheca della squadra di tutti gli italiani.

Euro 2020, l’Italia e il tempo del bel calcio

Il livello tecnico e agonistico di questo campionato europeo di calcio è alto.

Francia, Belgio, Portogallo e Inghilterra, sembrano essere di un livello superiore a tutte le altre, ma ogni squadra ha mostrato di avere campioni in grado di risolvere, anche da soli, ogni partita.

Un discorso a parte merita l’Italia di Roberto Mancini.

Il percorso compiuto dagli azzurri fino ad oggi è straordinario. Dieci vittorie su dieci nella fase di qualificazione all’Europeo e due su due, entrambe per 3-0, in questo inizio di torneo. La squadra è imbattuta da 29 partite, dal 10 ottobre 2018 e non subisce gol da dieci partite, dal 14 ottobre 2020.

Eppure, in molti continuano ad esprimere perplessità, a sostenere che sia una squadra senza stelle di prima grandezza, che le manchi il campione assoluto.

Innanzitutto, la prima stella della squadra è Roberto Mancini, un allenatore sottovalutato in relazione a ciò che ha vinto fino ad oggi.

In Italia tre campionati e quattro volte la Coppa Italia, record che detiene a pari merito con Sven-Göran Eriksson e Massimiliano Allegri, due volte la Supercoppa italiana. In Inghilterra, una volta la Premier League e poi una FA Cup e una Community Shield. Infine, in Turchia una Coppa nazionale.

Se invece analizziamo la rosa della squadra italiana, mi chiedo e vi chiedo: Donnarumma, Lorenzo Insigne e Jorginho sono inferiori ai campioni delle altre squadre?

E ancora Marco Verratti, Ciro Immobile, Nicolò Barella, valgono meno di chi gioca nei loro ruoli nelle altre nazionali?

E ancora Domenico Berardi e Manuel Locatelli è facile trovarli in altre nazionali?

La partita contro la Svizzera ha messo in mostra proprio questi due gioielli che solo chi non mastica calcio quotidianamente non conosceva.

Berardi è nato nel 1994, compirà 27 anni il 1° agosto. Ha esordito in serie A quando aveva 19 anni e fino ad oggi ha disputato 275 partite segnando 97 reti. Non è una scoperta, è una certezza.

Manuel Locatelli è nato nel 1998 ed ha 23 anni. Ha disputato 144 partite in serie A, realizzando 8 reti. Anche in questo caso non è una scoperta, ma una certezza.

Entrambi hanno disputato le ultime stagione al Sassuolo sotto la guida di Roberto De Zerbi, 42 anni e 254 panchine fino ad oggi. 22 in serie D, 77 in Lega Pro e 114 in serie A. Anche in questo caso non una scoperta, ma uno dei migliori allenatori italiani.

Il primo gol realizzato dall’Italia contro la Svizzera è un concentrato di questa storia e racconta, in parte, questi numeri.

Locatelli riceve la palla nella metà campo dell’Italia, poco oltre il cerchio di centrocampo e, d’istinto, con un lancio di 40 metri, al volo e senza far toccare la palla a terra, serve Berardi posizionato con i piedi quasi sulla linea del fallo laterale. Berardi controlla e porta a spasso un avversario che non riesce a contrastarlo e si avvia verso la linea di fondo. Locatelli dopo il passaggio si lancia verso l’area di rigore avversaria con una falcata che ricorda il giovane Marco Tardelli. Berardi, arrivato sul fondo, alza leggermente la testa e vede il suo compagno libero al centro dell’area piccola. Passaggio rasoterra, irrompe Locatelli ed è gol. Italia 1, Svizzera 0.

Un modo di ragionare e di pensare il calcio non casuale.

Certo non si può insegnare ad un calciatore come fare un lancio di 40 metri al volo per servire un compagno, per quello occorre avere del talento naturale. Quello che si può insegnare e che De Zerbi prima e Mancini poi hanno insegnato a questi due gioielli di calciatori, è pensare il calcio come opportunità per cercare sempre la via del gol. Si possono insegnare i movimenti.

Locatelli sapeva che Berardi era posizionato in quel posto. Lo sapeva perché succede nel Sassuolo, e succede, anche, nella nazionale italiana. Il posto di Berardi è quello e lui era lì. Dopo il lancio è scattato in avanti per chiudere l’azione, sapeva che Berardi avrebbe cercato il fondo campo e rimandato la palla indietro, perché succede nel Sassuolo e succede nella nazionale italiana.

Così è stato. Niente di casuale, un modo di ragionare e di pensare il calcio.

Siamo ancora convinti che la nazionale italiana non abbia stelle in squadra?

E allora Roberto Mancini, Domenico Berardi e Manuel Locatelli, cosa sono?

Non si costruisce bel calcio senza campioni e, soprattutto, non si vincono tante partite senza calciatori eccelsi. Anche per questa ragione è sbagliato affermare che la squadra italiana non ha campioni.

Roberto Mancini ha scelto e costruito una squadra con calciatori tecnici. Una squadra che cerca il gol attraverso il bel gioco. Un calcio armonico, europeo, che sfrutta tutta l’ampiezza del campo, ma che non disdegna attaccare la profondità per linee verticali. Un calcio che si costruisce con un possesso palla mai fine a se stesso, ma che cerca, in ogni zona del campo in cui si sviluppa, la strada più breve per arrivare al gol. Per arrivare all’essenza stessa del gioco del calcio.

È bello vedere come le catene che si sviluppano per linee esterne seguano sempre un filo logico. Quando, in fase di possesso palla, Zappacosta avanza sul lato sinistro, Lorenzo Insigne si preoccupa di coprire la porzione di campo che resta sguarnita e viceversa.

È bello vedere le incursioni di Barella e Locatelli che accompagnano sempre l’azione quando si sviluppa per linee verticali.

È bello vedere Ciro Immobile attaccare lo spazio e dettare il tempo del lancio a Jorginho o a Lorenzo Insigne.

È bello vedere, infine, lo spirito di squadra che l’allenatore e il suo gruppo di lavoro hanno saputo creare. È bello vederli sorridere, abbracciarsi. Gioire insieme. È bello vedere e riconoscere la spensieratezza della gioventù.

Il viaggio è iniziato e, come abbiamo imparato da Ulisse in poi, ciò che conta non è la meta ma il viaggiare stesso. E il viaggio della nazionale italiana di Roberto Mancini, appena iniziato, è già un gran bel viaggiare.

Euro2020, l’Italia per vincere ha bisogno dell’attacco

Il calcio italiano prima dell’avvento di Arrigo Sacchi è sempre stato identificato con un modulo, spesso, vincente: catenaccio e contropiede.

Certo anche prima dell’arrivo del mago di Fusignano c’erano stati allenatori che avevano introdotto nuovi concetti di gioco e con quelli avevano anche vinto.

Primo fra tutti Fulvio Bernardini che vinse lo scudetto con la Fiorentina e il Bologna sconfiggendo, in quello che rimane l’unico spareggio disputato per aggiudicarsi il campionato italiano, l’Inter euromondiale di Helenio Herrera.

Corrado Viciani e il suo «gioco corto» della Ternana del 1970 che possiamo definire, oggi a distanza di cinquant’anni, antesignano del Tiki-Taka di Pep Guardiola.

La zona totale di Luis Vinicio con il Napoli dei primi anni Settanta e quella più compassata ma vincente di Nils Liedholm della Roma tricolore del 1982.

Il Torino scudettato di Gigi Radice del 1976 che aveva in Claudio Sala, Ciccio Graziani e Paolo Pulici il più bel trio di attacco di quegli anni.

Poi irrompe sulla scena calcistica italiana e mondiale Arrigo Sacchi da Fusignano che rompe definitivamente gli schemi e traghetta il calcio italiano, tutto, verso nuovi lidi.

Dominare sempre la partita, puntando su una difesa fortissima, Tassotti, Costacurta, Franco Baresi e Paolo Maldini, ma accentuando la valenza offensiva della squadra. Il Milan di Sacchi fu la prima squadra italiana capace di imporre il proprio gioco anche in Europa e contro grandi squadre come solo l’Olanda di Rinus Michels aveva saputo fare prima.

E veniamo ad oggi, all’Europeo che inizia domani 11 giugno con la partita Italia-Turchia.

La nazionale italiana di Roberto Mancini è una buona squadra con calciatori di talento tutti utilizzati nella posizione migliore e non poteva essere altrimenti conoscendo il passato calcistico di Mancio.

Una squadra che ha stabilito molti record positivi facendo di Mancini, indipendentemente dall’esito della prossima competizione, uno dei migliori allenatori della nazionale.

La forza di questa squadra è la capacità di cercare il gol attraverso il gioco senza mai snaturarsi, ma soprattutto la forza risiede nel gruppo che l’allenatore ha saputo creare. Chi entra sa quello che deve fare e, ad oggi, non sembra ci siano gelosie tra i calciatori. Valga per tutti il rapporto di stima e amicizia tra Ciro Immobile e Andrea Belotti.

L’Europeo lo vincerà la squadra che utilizzerà al meglio la sua capacità offensiva. La squadra che metterà i suoi attaccanti nelle condizioni migliori per poter vincere le partite e da questo punto di vista Roberto Mancini, da grande attaccante qual è stato, ha sempre creduto ciecamente nei suoi uomini gol.

Primo fra tutti Lorenzo, il primo violino, Insigne. Il capitano del Napoli è il fulcro di questa squadra, l’uomo attorno al quale ruota tutto. Segna, regala assist, è capace di rientrare con grande continuità in fase di non possesso. Un calciatore completo che ha pochi eguali anche in Europa.

Se successo sarà, ovvero se l’Italia disputerà un grande campionato europeo, molto dipenderà dalle sue prestazioni così come da quelle di Ciro Immobile, il bomber della Lazio del neo allenatore Maurizio Sarri.

Insigne, Immobile e Marco Verratti, «I bambini di Zeman», il primo voluto fortemente già a Foggia dal duo Zeman-Pavone, nel 2012 sbancarono il campionato di serie B sono con un calcio che Arrigo Sacchi definì in questo modo, «Il Pescara di Zeman ha stravinto il campionato si serie B grazie a un calcio sontuoso, moderno, armonioso […] si ricorderà per molto tempo dello spettacolo gratificante che questa squadra ha saputo concedere a tutti gli amanti di un calcio futurista».

In quel campionato la squadra guidata da Insigne, Immobile e Verratti si classificò al primo posto davanti al Torino e alla Sampdoria conquistando 83 punti. Vinse 26 partite (12 in trasferta) segnando 90 reti. Questi i riconoscimenti conferiti alla squadra adriatica dalla Lega di serie B per quella stagione: Pescara migliore squadra del campionato, Zdeněk Zeman miglior allenatore, Lorenzo Insigne miglior attaccante e Ciro Immobile capocannoniere del torneo.

Servirà una squadra capace di segnare molto e di giocare nella metà campo degli avversari. Servirà una squadra in grado di fare un gol in più degli avversari per fare bene e vincere.

Le premesse ci sono tutte, adesso tocca al campo.

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