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Euro 2020, Quando Sir Alf Ramsey disse: Rivera, Rivera, Rivera, Rivera

Correva l’anno 1973, la televisione trasmetteva in bianco e nero e l’Italia del calcio non aveva mai vinto contro l’Inghilterra a Wembley.

Anche quel giorno sembrava che le cose dovessero andare così. Mancavano quattro minuti alla fine della partita e il risultato era sempre sullo 0-0.

Era il 14 novembre del 1973, Italia e Inghilterra si affrontavano in amichevole in preparazione dei mondiali del 1974 in Germania. Sulla panchina dell’Italia sedeva Ferruccio Valcareggi, su quella degli inglesi, Sir Alf Ramsey. L’Italia scende in campo con Dino Zoff tra i pali, Spinosi, Facchetti, Bellugi e Burnich i quattro della linea difensiva, Benetti, Causio, Capello e Rivera a centrocampo, Chinaglia e Rombo di Tuono, al secolo Gigi Riva in attacco. L’arbitro della partita è un portoghese, Marques Logo.

Quell’Italia pur avendo tanta qualità nei suoi calciatori, Zoff, Facchetti, Causio, Capello, Rivera, Riva non è fautrice di un gioco propositivo, ma tende ad aspettare gli avversari e concede loro il pallino del gioco. Gli inglesi attaccano ventre a terra per tutto il primo tempo e solo un Dino Zoff in grande spolvero evita agli azzurri una debacle.

Il secondo tempo propone una gara diversa perché gli inglesi sono meno irruenti e creano una sola palla gol, mentre gli azzurri si rendono pericolosi in più di un’occasione ed è bravo Shilton, il portiere dei maestri del calcio a mantenere il risultato in parità.

Quando tutto faceva pensare ad un risultato a reti bianche ecco invece che Fabio Capello decide di legare il suo nome alla storia del calcio azzurro, siglando la rete dell’1-0 che consente all’Italia di battere gli inglesi a Wembley per la prima volta nella loro, gloriosa, storia.

Nelle interviste del dopo partita arriva anche la consacrazione per il calciatore italiano più talentuoso di tutti i tempi. Un giornalista chiede all’allenatore degli isolani chi fossero i quattro giocatori italiani più forti rispose. Sir Alf Ramsey, risponde: «Rivera, Rivera, Rivera, Rivera».

Un buon viatico per la nazionale azzurra di Roberto Mancini, il santuario del calcio è già stato profanato e se è successo, può succedere ancora.

L’Italia di Euro2020 gioca un calcio propositivo, bello da vedere e, soprattutto, efficace. Abbiamo una squadra coesa che gioca insieme e abbiamo calciatori di grande talento. Una squadra che può vincere con un calcio collettivo, ma anche grazie alla giocata di un singolo.

Sarà una bella sfida. Lo sarà per i calciatori che scenderanno in campo perché hanno l’opportunità di una consacrazione che resterà per sempre nella storia del calcio italiano e lo sarà anche per chi guarderà la partita allo stadio o in televisione. Una sfida tra due squadre giovani che giocano un calcio propositivo e pensato per far divertire tutti gli appassionati.

Euro2020, l’attesa per Belgio-Italia

I numeri nel calcio sono importanti, ma non sono tutto.

I numeri dicono che delle quattro partite dei quarti di finale di Euro2020, tre hanno una favorita e una soltanto è in bilico.

Il ranking UEFA per nazioni vede infatti le otto squadre rimaste in lizza per la vittoria finale, rispettivamente in queste posizioni: Inghilterra (prima), Spagna (seconda), Italia (terza), Belgio (nona), Ucraina (dodicesima), Danimarca (quattordicesima), Repubblica Ceca (diciassettesima) e Svizzera (diciannovesima).

Ovviamente i numeri non sono tutto e il prossimo avversario dell’Italia, il Belgio, è molto temibile.

Una squadra ben organizzata con tanti calciatori di talento in rosa. De Bruyne, Hazard, Mertens, Courtois e Romelu Lukaku, sono atleti di primissima fascia. Campioni in grado di risolvere la partita in qualsiasi momento sia con giocate personali sia con trame di gioco collettive.

Sarà una partita difficile per i ragazzi di Roberto Mancini.

Conterà molto la condizione fisica, se gli azzurri saranno brillanti come nelle prime tre partite disputate fino ad oggi la gara potrebbe essere più semplice del previsto.

La nazionale italiana di calcio fonda la sua ragione d’essere sul gioco. Un ordito imparato a memoria da tutti i protagonisti scelti da Mancini, questa la certezza degli azzurri. La squadra è sempre alla ricerca della palla e predilige giocare nella metà campo avversaria. Utilizza molto l’ampiezza del campo di gioco, ma non disdegna giocate in verticale utilizzando l’attitudine di Immobile ad attaccare la profondità. Un gioco bello da vedere, ma molto dispendioso da un punto di vista fisico che richiede perciò una condizione ottimale.

L’Italia vista nelle prime tre partite è stata una squadra molto reattiva, veloce e resistente. Ci sarà bisogno delle stesse, identiche, qualità.

Se la difesa è affidabile e difficilmente tradisce grazie anche al grande lavoro di Jorginho e dei suoi compagni di reparto, i tre attaccanti dovranno superarsi ed essere determinati per continuare un percorso fino ad oggi esemplare.

Ci sarà bisogno del miglior Lorenzo Insigne e dei gol di Ciro Immobile. Di rivedere il Berardi dei tempi migliori, il calciatore in grado di saltare sistematicamente l’uomo e di cercare i compagni di reparto. Mai come in questa partita i destini degli azzurri sono nei piedi degli attaccanti.

E se loro tre non dovessero bastare ci sarebbe sempre Federico Chiesa, l’uomo in più che l’Italia ha e le altre squadre non hanno. Fino ad oggi è stato esemplare, determinante. Euro2020 può consacrarlo come uno dei migliori calciatori d’Europa, deve trovare una continuità maggiore nelle giocate e, soprattutto, giocare di più per la squadra e con la squadra. Questo è il salto di qualità che gli si chiede.

Se sarà capace di fare questo l’Italia potrà contare su un campione vero per molti anni ancora.

Euro 2020, l’Italia e il tempo del bel calcio

Il livello tecnico e agonistico di questo campionato europeo di calcio è alto.

Francia, Belgio, Portogallo e Inghilterra, sembrano essere di un livello superiore a tutte le altre, ma ogni squadra ha mostrato di avere campioni in grado di risolvere, anche da soli, ogni partita.

Un discorso a parte merita l’Italia di Roberto Mancini.

Il percorso compiuto dagli azzurri fino ad oggi è straordinario. Dieci vittorie su dieci nella fase di qualificazione all’Europeo e due su due, entrambe per 3-0, in questo inizio di torneo. La squadra è imbattuta da 29 partite, dal 10 ottobre 2018 e non subisce gol da dieci partite, dal 14 ottobre 2020.

Eppure, in molti continuano ad esprimere perplessità, a sostenere che sia una squadra senza stelle di prima grandezza, che le manchi il campione assoluto.

Innanzitutto, la prima stella della squadra è Roberto Mancini, un allenatore sottovalutato in relazione a ciò che ha vinto fino ad oggi.

In Italia tre campionati e quattro volte la Coppa Italia, record che detiene a pari merito con Sven-Göran Eriksson e Massimiliano Allegri, due volte la Supercoppa italiana. In Inghilterra, una volta la Premier League e poi una FA Cup e una Community Shield. Infine, in Turchia una Coppa nazionale.

Se invece analizziamo la rosa della squadra italiana, mi chiedo e vi chiedo: Donnarumma, Lorenzo Insigne e Jorginho sono inferiori ai campioni delle altre squadre?

E ancora Marco Verratti, Ciro Immobile, Nicolò Barella, valgono meno di chi gioca nei loro ruoli nelle altre nazionali?

E ancora Domenico Berardi e Manuel Locatelli è facile trovarli in altre nazionali?

La partita contro la Svizzera ha messo in mostra proprio questi due gioielli che solo chi non mastica calcio quotidianamente non conosceva.

Berardi è nato nel 1994, compirà 27 anni il 1° agosto. Ha esordito in serie A quando aveva 19 anni e fino ad oggi ha disputato 275 partite segnando 97 reti. Non è una scoperta, è una certezza.

Manuel Locatelli è nato nel 1998 ed ha 23 anni. Ha disputato 144 partite in serie A, realizzando 8 reti. Anche in questo caso non è una scoperta, ma una certezza.

Entrambi hanno disputato le ultime stagione al Sassuolo sotto la guida di Roberto De Zerbi, 42 anni e 254 panchine fino ad oggi. 22 in serie D, 77 in Lega Pro e 114 in serie A. Anche in questo caso non una scoperta, ma uno dei migliori allenatori italiani.

Il primo gol realizzato dall’Italia contro la Svizzera è un concentrato di questa storia e racconta, in parte, questi numeri.

Locatelli riceve la palla nella metà campo dell’Italia, poco oltre il cerchio di centrocampo e, d’istinto, con un lancio di 40 metri, al volo e senza far toccare la palla a terra, serve Berardi posizionato con i piedi quasi sulla linea del fallo laterale. Berardi controlla e porta a spasso un avversario che non riesce a contrastarlo e si avvia verso la linea di fondo. Locatelli dopo il passaggio si lancia verso l’area di rigore avversaria con una falcata che ricorda il giovane Marco Tardelli. Berardi, arrivato sul fondo, alza leggermente la testa e vede il suo compagno libero al centro dell’area piccola. Passaggio rasoterra, irrompe Locatelli ed è gol. Italia 1, Svizzera 0.

Un modo di ragionare e di pensare il calcio non casuale.

Certo non si può insegnare ad un calciatore come fare un lancio di 40 metri al volo per servire un compagno, per quello occorre avere del talento naturale. Quello che si può insegnare e che De Zerbi prima e Mancini poi hanno insegnato a questi due gioielli di calciatori, è pensare il calcio come opportunità per cercare sempre la via del gol. Si possono insegnare i movimenti.

Locatelli sapeva che Berardi era posizionato in quel posto. Lo sapeva perché succede nel Sassuolo, e succede, anche, nella nazionale italiana. Il posto di Berardi è quello e lui era lì. Dopo il lancio è scattato in avanti per chiudere l’azione, sapeva che Berardi avrebbe cercato il fondo campo e rimandato la palla indietro, perché succede nel Sassuolo e succede nella nazionale italiana.

Così è stato. Niente di casuale, un modo di ragionare e di pensare il calcio.

Siamo ancora convinti che la nazionale italiana non abbia stelle in squadra?

E allora Roberto Mancini, Domenico Berardi e Manuel Locatelli, cosa sono?

Non si costruisce bel calcio senza campioni e, soprattutto, non si vincono tante partite senza calciatori eccelsi. Anche per questa ragione è sbagliato affermare che la squadra italiana non ha campioni.

Roberto Mancini ha scelto e costruito una squadra con calciatori tecnici. Una squadra che cerca il gol attraverso il bel gioco. Un calcio armonico, europeo, che sfrutta tutta l’ampiezza del campo, ma che non disdegna attaccare la profondità per linee verticali. Un calcio che si costruisce con un possesso palla mai fine a se stesso, ma che cerca, in ogni zona del campo in cui si sviluppa, la strada più breve per arrivare al gol. Per arrivare all’essenza stessa del gioco del calcio.

È bello vedere come le catene che si sviluppano per linee esterne seguano sempre un filo logico. Quando, in fase di possesso palla, Zappacosta avanza sul lato sinistro, Lorenzo Insigne si preoccupa di coprire la porzione di campo che resta sguarnita e viceversa.

È bello vedere le incursioni di Barella e Locatelli che accompagnano sempre l’azione quando si sviluppa per linee verticali.

È bello vedere Ciro Immobile attaccare lo spazio e dettare il tempo del lancio a Jorginho o a Lorenzo Insigne.

È bello vedere, infine, lo spirito di squadra che l’allenatore e il suo gruppo di lavoro hanno saputo creare. È bello vederli sorridere, abbracciarsi. Gioire insieme. È bello vedere e riconoscere la spensieratezza della gioventù.

Il viaggio è iniziato e, come abbiamo imparato da Ulisse in poi, ciò che conta non è la meta ma il viaggiare stesso. E il viaggio della nazionale italiana di Roberto Mancini, appena iniziato, è già un gran bel viaggiare.

La piccola Italia

Leggo con stupore, con molto stupore, elogi esagerati all’Italia di Prandelli per la partita contro l’Inghilterra degli ex calciatori Wayne Rooney e Steven Gerrad.
L’Italia ha vinto e vincere nella partita d’esordio dei mondiali è sempre importante. Su questo sono d’accordo, d’accordissimo. Direi che la vittoria, insieme alle belle prestazioni di Darmian e Sirigu, è certamente un aspetto positivo, per il resto c’è invece poco da stare allegri. La solita Piccola Italia senza grandi slanci, soprattutto incapace di produrre gioco finalizzato alla ricerca del gol.
Prandelli sceglie di giocare con un 3-6-1, anche se la maggior parte dei commentatori continua a scrivere di un fantomatico 4-1-4-1, una squadra piena, zeppa, di centrocampisti e di calciatori fuori ruolo. Una scelta che evidenzia l’insicurezza e le paure dell’allenatore che, evidentemente, non è sicuro della forza della sua squadra. Una rosa assemblata con tanti esterni, Cerci, Candreva, Insigne e lo stesso Cassano, e che, paradossalmente, gioca senza esterni.
Se fossi stato alla conferenza stampa post partita avrei rivolto queste domande a Cesare Prandelli. Perché ha convocato quattro esterni e non schiera nessuno in quel ruolo? Perché ha scelto di far giocare fuori ruolo Marchisio, Candreva e Verratti?
È stato evidente a tutti che fino a quando Marchisio è stato costretto a giocare con le spalle alla porta non ha fatto una bella figura. Alla prima occasione in cui ha avuto la possibilità di puntare l’avversario e cercare la porta, l’Italia è passata in vantaggio.
Stessa, identica, riflessione si può fare sull’utilizzo di Candreva. Il suo impiego in mezzo al campo ne limita notevolmente le potenzialità, in quel ruolo è un calciatore qualunque. Ogni volta invece che è riuscito a liberarsi dalle indicazioni tattiche dell’allenatore e a guadagnare la linea dell’out ha sempre creato pericoli alla difesa inglese. E proprio in una di queste occasioni è nato il secondo gol degli azzurri.
Infine che senso ha far giocare Marco Verratti in una posizione in cui può fare al massimo passaggi in orizzontale di 20 cm? Per svolgere questo compito c’è De Rossi che ha costruito la sua immeritata fortuna su questo modo sparagnino di giocare, al massimo si può utilizzare Thiago Motta. Mortificare il talento cristallino di Verratti facendogli svolgere il “compitino” non ha senso, tanto vale non farlo giocare e aspettare che Pirlo decida di dedicarsi ad altro.
Male, malissimo, la difesa, eccezion fatta per Sirigu e Darmian, ma in questo caso Prandelli non ha nessuna responsabilità. Il livello tecnico è basso e, probabilmente il tecnico di Orzinuovi ha convocato il meglio che il calcio italiano offre in questo momento. Paletta però, nelle prossime partite, potrebbe risparmiarcelo.
E infine Mario Balotelli. Ha giocato poco e male, ma ha segnato il gol della vittoria. Da qui a valutarlo come il migliore in campo racconta, ancora una volta, della faziosità e incompetenza di molti commentatori. Soprattutto al triplice fischio finale ha sentito, irrefrenabile, la voglia di lasciare il segno a modo suo. Rivolgendosi alla prima telecamera disponibile ha mimato il due a uno e ha fatto cenno di fare silenzio. I media inglesi hanno interpretato questo gesto come un’offesa nei confronti della nazionale in maglia bianca.
Non so se volesse deridere gli inglesi o chi altri, certo è stato un gesto incomprensibile ai più del quale nessuno avvertiva il bisogno. Una persona così non l’avrei nemmeno convocata.
Adesso si volta pagina e si pensa alla prossima partita. Per fortuna al campionato del mondo le partite sono ravvicinate e dunque c’è sempre la possibilità di ribaltare prestazioni e giudizi. In fondo il bello del calcio è proprio questo: non sempre è una scienza esatta.

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