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Le lacrime Paulo Dybala e il calcio senza cuore

Nella stagione degli addii alla propria squadra o al calcio giocato, Chiellini e Lorenzo Insigne tanto per gradire, ce n’è uno che mi ha molto colpito: l’addio di Paulo Dybala.

Dybala non ha scelto di andare via dalla Juventus, ma è stata la squadra bianconera che non gli ha formulato nessuna offerta di rinnovo per il contratto che scade proprio in questi giorni.

Mi sono chiesto, io come tanti credo, perché una squadra di prima fascia in Italia com’è la Juventus, non propone il rinnovo di contratto ad un calciatore ritenuto da tutti fortissimo e che, soprattutto, è nel pieno della sua maturità calcistica?

Dybala è nato in Argentina, a Laguna Larga, il 15 novembre del 1993 e compirà 29 anni il prossimo novembre.

La Juventus, con il vicepresidente Paul Nedved, ha dichiarato a tal proposito, «Abbiamo valutato tutti gli aspetti, quello che fa in campo e fuori. Faccio fatica a dire dove si sia arenata la trattativa, ma le sue richieste erano altissime. Noi non ce la sentivamo, le strade si sono divise. Non vuol dire che il giocatore non sia valido, anzi, è molto forte».

Ciò significa che nel prossimo mercato i bianconeri dovrebbe acquistare un calciatore con le caratteristiche di Dybala e spendere meno, tra acquisto del cartellino e contratto al calciatore, rispetto alla cifra richiesta dall’argentino. Staremo a vedere cosa succede.

Per il momento la scelta appare molto naïf è non condivisibile da nessun punto di vista.

Ovvero se hai un calciatore con la qualità di Dybala e dichiari, così come ha dichiarato Massimiliano Allegri nel prepartita dell’addio dell’argentino, «Il prossimo anno dobbiamo prepararci per vincere lo scudetto», non lasci andar via a parametro zero un patrimonio calcistico di questo valore. Se lo fai vuol dire che non hai le risorse economiche sufficienti per allestire una squadra che possa puntare agli obiettivi che dichiari.

«Il mondo è tutto ciò che accade» scrive Ludwig Wittgenstein e dunque quel che è fatto è fatto.

Tralasciando dunque le scelte strategiche della Juventus resta la reazione di Dybala che in molti hanno potuto vedere alla fine della partita Juventus Lazio.

Un pianto senza freni inibitori del calciatore, ormai ex juventino, che ha reso e rende più umano un mondo sempre più finto com’è quello del calcio nostrano.

Lacrime belle che ho percepito come vere, sentite. Il bambino, il ragazzo o il giovane uomo a cui hanno appena tolto il suo giocattolo preferito che piange in pubblico, davanti a tutti. Che svela la sua condizione d’animo, il suo dispiacere. Che rivela mentre si svela, il suo attaccamento alla squadra e ai tifosi.

Siamo sempre meno abituati a questo, paradigmatico in questo senso è il trasferimento di Donnarumma al PSG della scorsa estate, perché sempre più dentro un meccanismo in cui ciò che conta sono soltanto i soldi. Non conta più la passione, l’attaccamento alla squadra e ai tifosi. La riconoscenza.

Le lacrime di quel giovane uomo, in uno stadio pieno in ogni ordine di posto, raccontano un altro film. Un’altra storia. Una storia in cui le emozioni, la voglia di continuare a giocare per i colori che hai scelto prevalgono sul resto. Una storia nella quale ci possiamo riconoscere tutti. Tutti quelli che amano il gioco del calcio e che per una volta ci vede tutti dalla stessa parte: juventini, milanisti, interisti, romanisti, laziali, napoletani.

Quelle lacrime, così come restare dopo la partita seduto sul prato verde del campo di calcio, senza scarpe, a piedi nudi sull’erba, con un compagno di squadra a godersi il momento, ci dicono che «la cosa più importante tra le meno importanti», il calcio, continua ad essere un porto sicuro in cui trovare riparo. Uno dei luoghi dove continuare a dare spazio al bambino che è in ognuno o di noi.

Quel tiro a giro di Lorenzo (Insigne) e la pioggia di messaggi su WhatsApp

Lorenzo Insigne con il suo gol al Belgio ha illuminato a giorno i Campionati europei di calcio. Una giocata che, da oggi in poi, impone a tutti di dire gol alla Insigne.

Lorenzo, il primo violino, Insigne coltiva quel modo di cercare il gol fin dall’inizio della sua carriera. «Ha segnato gol straordinari e riproposto, in versione aggiornata e personalizzata, il gol “a giro” sul secondo palo di Alessandro Del Piero […] Corsa, visione di gioco, piedi buoni e una sufficiente dote di altruismo ne fanno già oggi, a ventuno anni e con pochissima esperienza maturata sul campo, uno dei calciatori più completi del calcio italiano […] Gioca un calcio semplice, fatto di finte, dribbling e ha una straordinaria visione di gioco…».

Questo è un breve passo tratto dal libro “Il Pescara di Zeman” che scrissi con Sergio Cinquino nel 2012 all’indomani della vittoria del campionato di serie B del Pescara di Zeman. In quella squadra giocavano, insieme, Verratti, Immobile e Insigne.

«Il tempo è un galantuomo, rimette a posto tutte le cose» scrive Voltaire e nel caso di Insigne è proprio così. Il campione di Frattamaggiore era già un calciatore fortissimo quando, Gian Piero Ventura, il peggior commissario tecnico della nazionale di tutti i tempi, lo lasciava in panchina. O quando ad allenare il Napoli c’era Mazzari che invece di incoraggiare e coltivare quel talento scoperto ed esploso calcisticamente alla scuola di Zdeněk Zeman, lo lasciava ai margini del suo progetto di calcio per il Napoli.

C’è voluto Roberto Mancini per far emergere e rendere evidente a tutto il mondo il talento cristallino di Insigne. Così come fece Zeman, il tecnico della nazionale italiana ha messo al centro del suo progetto tecnico la classe, l’abnegazione e la disciplina tattica di un giocatore che da diversi anni ormai è, per distacco, il miglior calciatore italiano in attività.

Adesso, finalmente, se ne sono accorti tutti. Adesso, nel pieno della sua maturità umana e calcistica, può e deve decidere al meglio per il suo futuro e stare lontano da tutti gli allenatori che mettono al centro del progetto tecnico loro stessi. Ce ne sono molti e hanno in comune una caratteristica che li contraddistingue e li accomuna: amano filosofeggiare con presunzione.

E invece il calcio bello è sempre figlio di pensieri semplici che si ripetono. E soprattutto è figlio della gioia di vivere e di considerare il calcio per quello che è: un gioco.

Insigne, la stella più luminosa di Euro2020, stia alla larga da tutti quegli allenatori che già dalla prima amichevole estiva camminano nervosamente davanti alla propria panchina guardando a terra o con lo sguardo perso nel vuoto e che non ridono mai. Cerchi, per il suo futuro calcistico, un allenatore che abbia le caratteristiche di Mancini. Un allenatore che trasmetta serenità, voglia di giocare al calcio e che esalti le sue qualità tecniche e umane.

La partita con il Belgio l’hanno vinta i calciatori italiani sul campo, tutti. Il bel calcio che questa nazionale esprime è certamente frutto del lavoro e dell’applicazione dei calciatori in allenamento e in partita. Ma senza un allenatore come Roberto Mancini non ci sarebbero mai riusciti da soli. La qualità migliore dell’allenatore nato a Jesi e oggi cittadino del mondo è quella di far giocare ogni singolo calciatore nel proprio ruolo, garantendo a tutti di esprimere le proprie qualità.

Non è una cosa da poco, al contrario è tutto. Chapeau.

Euro 2020, l’Italia e il tempo del bel calcio

Il livello tecnico e agonistico di questo campionato europeo di calcio è alto.

Francia, Belgio, Portogallo e Inghilterra, sembrano essere di un livello superiore a tutte le altre, ma ogni squadra ha mostrato di avere campioni in grado di risolvere, anche da soli, ogni partita.

Un discorso a parte merita l’Italia di Roberto Mancini.

Il percorso compiuto dagli azzurri fino ad oggi è straordinario. Dieci vittorie su dieci nella fase di qualificazione all’Europeo e due su due, entrambe per 3-0, in questo inizio di torneo. La squadra è imbattuta da 29 partite, dal 10 ottobre 2018 e non subisce gol da dieci partite, dal 14 ottobre 2020.

Eppure, in molti continuano ad esprimere perplessità, a sostenere che sia una squadra senza stelle di prima grandezza, che le manchi il campione assoluto.

Innanzitutto, la prima stella della squadra è Roberto Mancini, un allenatore sottovalutato in relazione a ciò che ha vinto fino ad oggi.

In Italia tre campionati e quattro volte la Coppa Italia, record che detiene a pari merito con Sven-Göran Eriksson e Massimiliano Allegri, due volte la Supercoppa italiana. In Inghilterra, una volta la Premier League e poi una FA Cup e una Community Shield. Infine, in Turchia una Coppa nazionale.

Se invece analizziamo la rosa della squadra italiana, mi chiedo e vi chiedo: Donnarumma, Lorenzo Insigne e Jorginho sono inferiori ai campioni delle altre squadre?

E ancora Marco Verratti, Ciro Immobile, Nicolò Barella, valgono meno di chi gioca nei loro ruoli nelle altre nazionali?

E ancora Domenico Berardi e Manuel Locatelli è facile trovarli in altre nazionali?

La partita contro la Svizzera ha messo in mostra proprio questi due gioielli che solo chi non mastica calcio quotidianamente non conosceva.

Berardi è nato nel 1994, compirà 27 anni il 1° agosto. Ha esordito in serie A quando aveva 19 anni e fino ad oggi ha disputato 275 partite segnando 97 reti. Non è una scoperta, è una certezza.

Manuel Locatelli è nato nel 1998 ed ha 23 anni. Ha disputato 144 partite in serie A, realizzando 8 reti. Anche in questo caso non è una scoperta, ma una certezza.

Entrambi hanno disputato le ultime stagione al Sassuolo sotto la guida di Roberto De Zerbi, 42 anni e 254 panchine fino ad oggi. 22 in serie D, 77 in Lega Pro e 114 in serie A. Anche in questo caso non una scoperta, ma uno dei migliori allenatori italiani.

Il primo gol realizzato dall’Italia contro la Svizzera è un concentrato di questa storia e racconta, in parte, questi numeri.

Locatelli riceve la palla nella metà campo dell’Italia, poco oltre il cerchio di centrocampo e, d’istinto, con un lancio di 40 metri, al volo e senza far toccare la palla a terra, serve Berardi posizionato con i piedi quasi sulla linea del fallo laterale. Berardi controlla e porta a spasso un avversario che non riesce a contrastarlo e si avvia verso la linea di fondo. Locatelli dopo il passaggio si lancia verso l’area di rigore avversaria con una falcata che ricorda il giovane Marco Tardelli. Berardi, arrivato sul fondo, alza leggermente la testa e vede il suo compagno libero al centro dell’area piccola. Passaggio rasoterra, irrompe Locatelli ed è gol. Italia 1, Svizzera 0.

Un modo di ragionare e di pensare il calcio non casuale.

Certo non si può insegnare ad un calciatore come fare un lancio di 40 metri al volo per servire un compagno, per quello occorre avere del talento naturale. Quello che si può insegnare e che De Zerbi prima e Mancini poi hanno insegnato a questi due gioielli di calciatori, è pensare il calcio come opportunità per cercare sempre la via del gol. Si possono insegnare i movimenti.

Locatelli sapeva che Berardi era posizionato in quel posto. Lo sapeva perché succede nel Sassuolo, e succede, anche, nella nazionale italiana. Il posto di Berardi è quello e lui era lì. Dopo il lancio è scattato in avanti per chiudere l’azione, sapeva che Berardi avrebbe cercato il fondo campo e rimandato la palla indietro, perché succede nel Sassuolo e succede nella nazionale italiana.

Così è stato. Niente di casuale, un modo di ragionare e di pensare il calcio.

Siamo ancora convinti che la nazionale italiana non abbia stelle in squadra?

E allora Roberto Mancini, Domenico Berardi e Manuel Locatelli, cosa sono?

Non si costruisce bel calcio senza campioni e, soprattutto, non si vincono tante partite senza calciatori eccelsi. Anche per questa ragione è sbagliato affermare che la squadra italiana non ha campioni.

Roberto Mancini ha scelto e costruito una squadra con calciatori tecnici. Una squadra che cerca il gol attraverso il bel gioco. Un calcio armonico, europeo, che sfrutta tutta l’ampiezza del campo, ma che non disdegna attaccare la profondità per linee verticali. Un calcio che si costruisce con un possesso palla mai fine a se stesso, ma che cerca, in ogni zona del campo in cui si sviluppa, la strada più breve per arrivare al gol. Per arrivare all’essenza stessa del gioco del calcio.

È bello vedere come le catene che si sviluppano per linee esterne seguano sempre un filo logico. Quando, in fase di possesso palla, Zappacosta avanza sul lato sinistro, Lorenzo Insigne si preoccupa di coprire la porzione di campo che resta sguarnita e viceversa.

È bello vedere le incursioni di Barella e Locatelli che accompagnano sempre l’azione quando si sviluppa per linee verticali.

È bello vedere Ciro Immobile attaccare lo spazio e dettare il tempo del lancio a Jorginho o a Lorenzo Insigne.

È bello vedere, infine, lo spirito di squadra che l’allenatore e il suo gruppo di lavoro hanno saputo creare. È bello vederli sorridere, abbracciarsi. Gioire insieme. È bello vedere e riconoscere la spensieratezza della gioventù.

Il viaggio è iniziato e, come abbiamo imparato da Ulisse in poi, ciò che conta non è la meta ma il viaggiare stesso. E il viaggio della nazionale italiana di Roberto Mancini, appena iniziato, è già un gran bel viaggiare.

Il Pescara di Massimo Oddo promosso in serie A

Serie A doveva essere e serie A è stata. E dunque dopo un anno dalla traversa di Bologna che negò al Campione del Mondo, Massimo Oddo, la gioia della serie A da una terra bella e profumata come la Sicilia arriva la notizia che tutti i tifosi del Pescara
attendevano: il prossimo anno si giocherà di domenica.
E si, il posto per i biancazzurri non è più tra i cadetti ma tra i grandi del calcio. Il calcio che conta. Quello che muove tanti soldi e che fa tremare le vene dei polsi.
La Juventus di Max Allegri, il Napoli di Lorenzo insigne, Il Sassuolo di Eusebio Di Francesco, e poi ancora la Roma, l’Inter, il Milan, la Fiorentina. Ci sarà da divertirsi. Da soffrire e da gioire.

Un grande gruppo con un allenatore super
Quando all’inizio del campionato il Pescara si è presentato ai nastri di partenza con una squadra molto rinnovata e un allenatore esordiente in molti hanno avuto da ridire sia in merito alla rosa sia in merito all’allenatore. Noi di Calcio Totale, dopo aver seguito tutta la preparazione estiva a Pizzoferrato, ci siamo espressi fin dalla prima partita, dopo la sconfitta di Livorno. Abbiamo sempre sostenuto, ci sono le registrazioni delle puntate a testimoniarlo, che la squadra era ottima e che l’allenatore era la persona giusta al momento giusto. Così come in questi giorni di play off non abbiamo amai avuto nessun dubbio: sarà serie A. E serie A è stata.

Massimo Oddo, il fuoriclasse del Pescara
Avremo modo di analizzare meglio e più in profondità le ragioni di questa bella affermazione del Pescara e di attribuire a i protagonisti i giusti riconoscimenti. Cominciando, ovviamente dal presidente, Daniele Sebastiani. Ma ora e qui voglio parlare di Massimo Oddo. È stato lui il valore aggiunto del Pescara dimostrando per tutto il campionato di essere uno dei miglior tecnici in circolazione. Già oggi, infatti, possiamo considerarlo come una perla che il Pescara ha saputo coltivare.
Ma aldilà e al di sopra del suo valore tecnico, che è come si usa dire in gergo calcistico “tanta roba”, è la cifra umana la qualità che lo aiuterà diventare un numero uno. L’abbraccio a Serse Cosmi a fine partita, ovvero l’abbraccio allo sconfitto è, per quello che mi riguarda, la fotografia più bella di tutto il campionato. Solo per questo merita un 10 pieno e un grazie, per la bellezza e l’umanità di quel gesto.

Buon calcio a tutti.

Piccolo allenatore, piccola Italia

L’Italia di Cesare Prandelli è stata eliminata al primo turno dei mondiali brasiliani, così come successe alla squadra di Marcello Lippi nel 2010. Il tecnico di Orzinuovi fu chiamato al capezzale azzurro proprio per porre rimedio alla brutta figura rimediata in Sudafrica. Quell’Italia fu eliminata senza mai vincere una partita. Pareggiò per 1-1 contro il Paraguay e la Nuova Zelanda e perse 3-2 contro la Slovacchia. La nuova Italia di Prandelli ha vinto la partita d’esordio contro l’Inghilterra, eliminata anch’essa con gli azzurri, e ha perso contro Costa Rica e Uruguay.
Una brutta, bruttissima Italia, assemblata male e messa in campo peggio, abbandona giustamente il mondiale brasiliano. Un mondiale che fino ad oggi ha regalato agli appassionati di calcio tante belle partite, soprattutto squadre in grado d’imporre il proprio gioco e di segnare anche tanti gol.
Prandelli, nelle tre partite disputate, ha schierato tre formazioni diverse con altrettanti moduli di gioco, dimostrando sul campo di non aver maturato nessuna certezza né in merito ai calciatori da convocare, tantomeno al sistema di gioco con cui competere.
Costretto, vox populi e dai media, a convocare calciatori come Verratti, Insigne, il capocannoniere del campionato Ciro Immobile e Alessio Cerci, che non erano nei suoi propositi, non è riuscito a dare un’idea di gioco e un’anima alla sua squadra. Ha puntato tutto su Mario Balotelli e su un gruppo di senatori, capitanati da Buffon e De Rossi, che, un minuto dopo il triplice fischio finale della partita contro l’Uruguay che ha sancito l’eliminazione degli azzurri, non hanno saputo far altro che addossare le responsabilità della sconfitta ai giovani della rosa. I due, che si son fatti coraggio dopo le dichiarazioni di Prandelli che andavano nella stessa direzione, «mi aspettavo di più dai cambi», ignorano che i migliori per l’Italia, pur nella pessima prestazione collettiva, sono stati proprio i giovani Darmian e Verratti. Il primo dopo un esordio molto positivo sulla corsia di destra è stato spostato a sinistra nella partita successiva, mentre Verratti, tra i migliori in campo anche all’esordio, è stato spedito in panchina per essere riproposto nell’ultima partita contro l’Uruguay. Insigne e Cerci hanno potuto giocare solo uno spezzone di partita, mentre Immobile, colpevolmente lasciato fuori nelle prime due partite per far posto a Balotelli, è stato impiegato solo nell’ultima gara in una squadra incapace di costruire gioco. De Sciglio, infortunato, ha giocato solo nell’ultima gara contro Cavani & company.
Dunque, andando per esclusione, i due senatori della squadra, quando hanno parlato dei giovani, intendevano dire Mario Balotelli. E dunque, se è così, perché non hanno detto che si riferivano proprio al giocatore del Milan?
Da quando seguo il calcio è la prima volta che mi capita di ascoltare dichiarazioni di questo tipo, calciatori che parlano male di calciatori della stessa squadra e dopo una sconfitta che, al contrario, chiama in causa tutta la delegazione a cominciare dall’allenatore.
Una squadra dunque allestita male e gestita peggio. Due attaccanti di ruolo su sei possibili convocazioni e tanti esterni convocati e mai utilizzati. Tanto valeva convocare Gilardino oppure Destro se l’unico schema di gioco era il lancio, «illuminate» o «come la lampada di Aladino» così continuavano a dire incompetenti commentatori televisivi, di Andrea Pirlo.
Nella conferenza stampa post partita Cesare Prandelli annuncia le proprie, irrevocabili, dimissioni e dunque per l’Italia comincia una nuova era.
Prandelli lascia dunque l’Italia così come l’aveva ereditata, con una débâcle che non ammette giustificazioni. L’Italia del calcio ha perso ancora una volta. Prandelli non è, ovviamente, l’unico responsabile, con lui ha perso tutto il sistema calcio del nostro Paese che andrà rifondato dalle fondamenta. Ma Prandelli, così come quattro anni fa Lippi, ha fatto di tutto per essere ricordato come il peggiore della spedizione italiana in Brasile.

La sconfitta di Prandelli

La sconfitta dell’Italia contro Costa Rica è figlia delle scelte sbagliate di Cesare Prandelli. Scelte che riguardano il modulo di gioco e degli uomini che ha mandato in campo, alcuni dei quali anche fuori ruolo. Surclassato tatticamente da Jorge Luis Pinto, allenatore della Costa Rica che nella sua terra chiamano il professore, Prandelli ha dimostrato con i fatti di non essere affidabile, ovvero che non bisogna dare credito alle sue dichiarazioni post gara.
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Lorenzo Insigne, l’oro di Napoli

UP
1. Lorenzo, il primo violino, Insigne
Quando Napoli-Cagliari si stava chiudendo sul risultato di parità irrompe sulla scena il più forte calciatore italiano, quest’anno relegato spesso in panchina da un allenatore che non sa riconoscere il talento, e la partita cambia. Lorenzo, il primo violino, Insigne segna un gol dei suoi, un gol alla Insigne, e rafforza il secondo posto in classifica del Napoli. Devastante.

2. Antonio Balzano, Damiano Zanon, Marco Capuano, Romulo Togni, Gianluca Caprari e il capitano, Emmanuel Cascione.
Nella partita contro la Roma i ragazzi di Zeman, ieri l’ossatura della squadra in campo, hanno disputato una bella partita dal primo all’ultimo minuto ed è, forse, la prima volta che succede in questo anno negativo per il Pescara. Mi piace pensare che hanno giocato oltre che per la maglia biancazzurra anche per il maestro.

3. Marco Sau
Ieri sul terreno del San Paolo di Napoli si affrontavano come avversari due delle ultime e più belle scoperte di Zednek Zeman: Lorenzo Insigne e Marco Sau. Insieme nel Foggia di due anni fa in Lega Pro, il primo è un idolo assoluto del San Paolo mentre il secondo, finalmente, profeta in patria. Il gol del momentaneo pareggio è un autentico inno al bel calcio. Piccolo gioiello.

DOWN
1. Aurelio De Laurentiis
«Dedicò la vittoria a Cellino, Astori e Nainggolan» è il tweet che digitato subito dopo il triplice fischio finale di Napoli-Cagliari il presidente del club partenopeo. Una caduta di stile e di comportamento che svela, semmai ce ne fosse bisogno, che per vincere davvero servono tante cose. Certo grandi calciatori, un buon allenatore, tanti soldi, ma soprattutto cultura. È quest’ultima, ahimè, non si può acquistare con i soldi, occorre fatica e tempo. Tanto tempo.

2. Aurelio Andreazzoli
Andreazzoli, il tattico di Spalletti che ha sostituito Zeman sulla panchina giallorossa, con la partita disputata ieri contro il Pescara è riuscito nell’intento che si era prefisso: far dimenticare Zeman. La sua squadra disputa una partita mediocre nella quale si ergono a totem il portiere olandese, che regala l’assist vincente a Caprari, e colui che voleva fare il capitano nel futuro, che disputa la peggior partita della stagione. I fischi, impietosi, al termine della gara, sono il giusto premio per tutti. Incapace.

3. Mariano Gonzalo Andujar
L’aggressione violenta di Andujar, al termine del derby siciliano Catania-Palermo, nei confronti di un avversario già a terra è un episodio da condannare e punire in maniera esemplare. Non è accettabile infatti che dei professionisti si abbandonino a manifestazioni di questo genere. Più che una partita calcio sembrava un incontro di pugilato e questo è contro ogni regola del calcio. Inqualificabile.

Praeiudicium

L’accoglienza riservata a Cristiano Bergodi da parte dell’ambiente sportivo di Pescara, tifosi e addetti ai lavori, non è stata tiepida o addirittura ostile come lo fu per Giovannino Stroppa. È stata certamente una buona accoglienza.
I tifosi, da sempre la componente più esigente della vasta platea che segue il calcio, sono in verità divisi a metà. C’è chi sostiene che la “pescaresità” acquisita di Bergodi sia un elemento importante, se non determinate, per il buon esito della sua missione. Altri invece pensano che non abbia sufficiente esperienza o che comunque non sia la persona giusta per poter raggiungere l’obiettivo prefissato della salvezza.
Gli addetti ai lavori (quasi tutti) si sono schierati, decantandone le doti fin dal primo incontro, con il nuovo tecnico non risparmiando le ultime punture di veleno per il bassaiolo di Mulazzano.
Siamo dunque in presenza di un evidente pregiudizio da parte di molti, sia nel caso di Bergodi sia nel caso di Giovannino Stroppa.
Nel caso di Stroppa è parso evidente fin dalla conferenza stampa di presentazione che il clima per lui sarebbe stato difficile se non ostile. Il suo «dimenticare Zeman», pronunciato ingenuamente dal tecnico lombardo nel giorno del battesimo pescarese, è diventato un tormentone che non lo ha abbandonato fino al giorno delle sue dimissioni.
Bergodi invece non ha avuto bisogno di presentazioni particolari, lui è di casa a Pescara e conosce personalmente quasi tutti gli addetti ai lavori. Pur essendo anche lui, proprio come il suo predecessore, esordiente in serie A non ha subito il fuoco incrociato delle domande sull’inesperienza, anzi questo argomento non è stato affrontato come se l’esperienza maturata in Romania potesse colmare la mancanza di panchine in serie A. Anche l’esordio negativo, certamente dal punto di vista del risultato maturato in campo, contro la Roma non ha avuto riscontro sulle narrazioni lette nei giorni successivi. Al contrario, leggendo le cronache e i commenti post partita si ha l’impressione che il malato sia sulla strada della guarigione. Poco importa se il Pescara non ha mai tirato in porta e non ha costruito nessuna azione davvero pericolosa per la porta difesa da Goicoechea e che la Roma, come l’Inter, l’Atalanta, la Lazio, La Juventus e perfino il Parma, sembrava stesse facendo poco più che un allenamento infrasettimanale.
Praeiudicium, appunto.
Ognuno vede ciò che vuol vedere, ma soprattutto prevede ciò che vuol prevedere. Si è messo in risalto la parte finale della partita, l’ultima frazione di gioco in cui, ai più, è sembrato che la squadra biancazzurra potesse davvero pareggiare la partita.
Più realisti del re.
E invece con molta sincerità il neo allenatore del Pescara nelle dichiarazioni post partita ha ammesso che c’è molto da lavorare e che la squadra è mancata soprattutto in fase d’impostazione non costruendo nessuna palla gol.
Certo Bergodi non poteva fare molto in quattro giorni. È ripartito dal 5-3-2 di Stroppa spostando in avanti il prezzo pregiato della squadra, Quintero. L’esperimento non ha dato un esito positivo perché il giovane colombiano è stato una delle delusioni di giornata. Con lui Perin che, pur salvando la porta del Pescara in almeno due occasioni su Mattia Destro, ha la responsabilità del gol che ha consentito alla Roma di portare a casa l’intero bottino.
Cristiano Bergodi sa che non ha molto tempo per capire la qualità degli uomini che ha a disposizione e che il mercato di gennaio, purtroppo, non è vicino. Vedremo già dalla prossima partita, a Napoli contro l’ex Insigne, se sarà capace d’invertire la rotta e condurre il Pescara verso porti più sicuri.

Pazzini prova a far dimenticare Inzaghi (3 settembre 2012)

UP
1. Giampaolo Pazzini
Tre gol all’esordio con una nuova maglia non capitano a tutti i calciatori. Ruba la copertina a Giovinco, Klose e Berghessio, che sono stati gli altri grandi protagonisti di giornata. Tre gol che fotografano il Pazzini calciatore. Opportunista, furbo e funzionale a un gioco molto sparagnino. Perfetto per questo Milan.

2. Francesco Totti
A 36 anni e con più di 500 partite in serie A, ha dimostrato a San Siro di essere ancora il numero uno in Italia. Ha giocato alla Cruijff, non dando mai punti di riferimento ai calciatori dell’Inter. Corre come un ragazzino di venti anni, proprio come i cinque undicesimi della squadra che è scesa in campo ieri sera e ha vinto per 3-1 contro l’Inter. Piris, Florenzi, Tachtsidis, Destro e Lamela sono infatti tutti nati tra il 1991 e 1992.

3. Lorenzo Insigne
Prima convocazione nella nazionale maggiore per Lorenzo, il primo violino, Insigne. Uno dei più forti calciatori italiani che lo scorso anno abbiamo avuto la fortuna di godercelo tutte le settimane. Inizia una nuova storia professionale con Cesare Prandelli che lo porterà fino ai mondiali del 2014 in Brasile.

DOWN
1. Pescara
Due partite, zero punti, sei gol subito e zero realizzati. Questi sono i numeri delle prime due giornate di campionato per il Pescara di Giovannino Stroppa. C’é bisogno di un’inversione di tendenza immediata altrimenti saranno dolori.

2. Giuseppe Marotta
Il comportamento della Juventus nel “caso” Berbatov é stato patetico. Marotta ha dichiarato che la Juventus non si é intromessa nell’affare ma che ha fatto un sondaggio quando l’affare era sfumato. Ma se il giocatore era in aereo, con il biglietto pagato dalla Fiorentina, come ha fatto Marotta a sapere che c’erano problemi legati al contratto. Meglio avrebbe fatto a tacere.

3. Palermo
Come il Pescara, quasi peggio del Pescara, anche la squadra di Sannino nelle prime due giornate ha collezionato zero punti, rimediando due sconfitte e sei gol al passivo. Mai la squadra di Zamparini era partita così male. Conoscendo Zamparini é lecito pensare che Sannino si debba preoccupare perché il presidente del Palermo non é un uomo di attese.

© 2021 Calcio Totale / Testata giornalistica registrata presso il Tribunale di Pescara il 03/09/2014 al n° 11. Registro della Stampa del Tribunale di Pescara n° 11-2014.

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