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Il leader calmo, Carlo Ancelotti con Chris Brady e Mike Forde

«Il mio approccio calmo alla leadership potrà sembrare un segno di debolezza, il tipo di calma che intendo io è una forza. È calma che trasuda potere. La leadership si può imparare, non imitare. Quando allenavo il Milan volevo che i giocatori parlassero solo in italiano, adesso che in ogni squadra ci sono giocatori di tanti Paesi diversi è più difficile, e spesso i ragazzi tendono a socializzare con i propri connazionali. Ecco, questa è una cosa che va messa in chiaro subito con i ragazzi, va fatto loro capire che non possono esserci clan […] Spesso non ci si rende conto della relazione più importante: quella tra l’allenatore e il suo staff. Quando allenavo in Italia, avevo uomini con cui lavoravo da tempo, e avrei voluto portarli con me. Il Chelsea ha cambiato il mio atteggiamento, mi ha fatto capire che è possibile plasmare nuovi rapporti e nuovi modi di lavorare…»

Il leader calmo, Carlo Ancelotti con Chris Brady e Mike Forde (Rizzoli, 2016. 336 pagine. 18,00 euro)

Tutti i libri della nuova stagione di Calcio Totale

La strenna natalizia di Pagina Tre è il riepilogo di tutti i libri di cui abbiamo parlato in queste prime tredici puntate della  nuova stagione.

1ª puntata_4 settembre 2015
Il giorno perduto. Racconto di un viaggio all’Heysel
Gian Luca Favetto, Anthony Cartwright
(2015, 66THAND2ND, 330 pagine. 18,00 euro)
Intervista con l’autore, Gian Luca Favetto

2ª puntata_9 settembre 2015
Io Ibra
David Lagercrantz, Zlatan Ibrahimovic
(2013, BUR, 389 pagine)

3ª puntata_18 settembre 2015
Che gusto c’è a fare l’arbitro
Nicola Rizzoli
(2015, Rizzoli, 339 pagine)

4ª puntata_25 settembre 2015
Ho osato vincere
Francesco Moser, Davide Mosca
(2015, Mondadori, 228 pagine. 19,00 euro)

6ª puntata_9 ottobre 2015
SLA, il male oscuro del pallone
Massimiliano Castellani
(Goalbook)
Intervista con l’autore, Massimiliano Castellani

7ª puntata_16 ottobre 2015
Storia del gol. Epoche, uomini e numeri dello sport più bello del mondo
Mario Sconcerti
(2015, Mondadori, 348 pagine)
Intervista con l’autore, Mario Sconcerti

8ª puntata_30 ottobre 2015
Pier Paolo Pasolini e il calcio

9ª puntata_6 novembre 2015
Michael Joordan, la vita
Roland Lazenby
(2015, 66THAND2ND, 779 pagine)
Intervista con Martino Michele, redazione 66thand2nd

10ª puntata_13 novembre 2015
I cantaglorie. Una storia calda e ribalda della stampa sportiva
Gian Paolo Ormezzano
(2015, 66THAND2ND, 184 pagine)
Intervista con l’autore, Gian Paolo Ormezzano

11ª puntata_4 dicembre 2015
Non dire gatto. La mia vita sempre in campo, tra calcio e fischi
Giovanni Trapattoni, Bruno Longhi
(2015, Rizzoli, 397 pagine)
Intervista con l’autore, Bruno Longhi

12ª puntata_11 dicenbre 2015
Vite vere. Compresa la mia.
Beppe Viola
(2015, Quodlibet, 288 pagine)
Intervista con lo scrittore, Gino Cervi

Che gusto c’è a fare l’arbitro

Diciamo la verità, da bambini nessuno vuole fare l’arbitro, così come nessuno vuole fare il portiere. Poi s’inizia a giocare e ci si rende conto dei valori in campo. A quel punto chi è meno capace è disposto a giocare anche anche in porta. L’arbitro però no, proprio no. Nessuno vuole farlo. Per questa ragione il titolo del libro di Nicola Rizzoli, Che gusto c’è a fare l’arbitro, è un titolo appropriato e che cattura l’attenzione.
«Quasi tutti quelli che parlano di calcio hanno giocato a calcio almeno una volta nella vita. Quasi tutti quelli che parlano di arbitri non hanno mai arbitrato una partita nella loro vita».
E già dall’esergo si capisce che Rizzoli ha ragione e che il libro promette bene. Siamo un Paese di allenatori, ma non di arbitri.
«Un’ultima occhiata alla borsa, poi chiudo la zip ed esco dalla stanza in punta di piedi. Anche la casa è avvolta nel silenzio e io voglio uscire senza svegliare mamma e papà. Loro non sanno niente, non sanno che è la mattina del mio debutto. Meglio risparmiare loro la tensione, e poi così sono più tranquillo anch’io».
L’arbitro bolognese svela, con grande acume, l’aspetto umano a cui in pochi prestano attenzione quando si parla di arbitri. Ci ricorda che gli arbitri sono dei ragazzi, ragazzi comuni con i sogni dei ragazzi comuni.
«una lezione che imparo sul campo, in un torneo undici contro undici organizzato a fine campionato tra le sezioni arbitrali dell’Emilia Romagna […] Ad arbitrare la finale del nostro torneo regionale viene quindi mandato un giovanissimo Pierluigi Collina […] Il giorno della partita sono emozionatissimo. Dopo qualche minuto in cui la fa da padrone l’agitazione per essere lì a giocarsi una finale (la prima della mia vita, per quanto insignificante), cominciamo a fare sul serio, con un buon ritmo. Siamo a metà del primo tempo quando dribblo un difensore, entro in area e, al minimo contatto, mi lascio cadere, sperando in quell’occhio di riguardo bolognese… Ma quanto mi sbagliavo! Non solo Collina non fischia nulla, ma mi guarda dritto negli occhi e mi urla: “Rizzoli, non fare Micca il furbo con me! Becchi male…».
Che il destino di Rizzoli fosse segnato lo si capisce fin dall’inizio della sua carriera e l’incontro con Pierluigi Collina, colui che sarebbe diventato il miglior arbitro del mondo, ne è una testimonianza in questo senso.
«Piango poi rido, piangiamo e ridiamo. Sembra una macchina con due pazzi dentro. Urlo, e poi ancora le lacrime agli occhi. Penso a come dirlo ai miei. A mia madre che sicuramente mi dirà: “Sì bravo, ma adesso non mollerai mica l’architettura!” A mio padre e a Lele che non ci avrebbero mai scommesso. In effetti sembra incredibile, anche se ci ho sempre creduto […] Rientro a casa a notte fonda, sul tavolo mia madre mi ha lasciato una piccola busta. C’è scritto: “Per Nicola Rizzoli”. La apro. Una monetina e un biglietto: “Ogni promessa è un debito. Non sono mai stato così contento di pagarne uno! Complimenti. Simone Ponzali».
Il libro è un susseguirsi di emozioni. Meglio, la trasposizione su carta e a posteriori delle emozioni forti che hanno accompagnato la brillante carriera di Nicola Rizzoli. Come il momento in cui apprende di essere diventato un arbitro di serie A e quello della designazione per la prima partita nel campionato italiano di calcio più importante.
«Aprono un’altra pallina verde e Pairetto mostra il fogliettino contenuto all’interno e dice: Venezia-Perugia, Serie A. Sposto immediatamente gli occhi su Bergamo che dice: “Vediamo chi va a Venezia…”. Mentre gira il foglietto mi guarda dritto negli occhi con sorriso: “Rizzoli! Sei pronto per la Serie A?. Oddio».
Un’ascesa che non conosce limiti e che lo porta dalla serie A italiana ai vertici del calcio europeo e mondiale.
«1° ottobre 2008, a quattro giorni dal mio compleanno, arbitrerò la mia prima partita di Champions League […] Appena entrato nello spogliatoio vedo i palloni appoggiati in una sacca sotto al tavolo. Sono tanti, una dozzina, li lasciano nel mio spogliatoio fino a qualche minuto prima della partita affinché io possa verificare se sono tutti a posto. Sopra, in bella mostra, c’è la scritta “UEFA Champions League”. Istintivamente ne afferro uno con entrambe le mani e me lo porto davanti alla faccia, poi chiudo gli occhi e inspiro profondamente. Lo so che sembra un gesto da matto, ma è un’abitudine che ho fin da bambino».
Un uomo e un arbitro di successo che coglie i frutti di un duro lavoro fatto di tante partite sui campi minori e tante ore passate a ripensare ai propri errori. Nel racconto della sua carriera Rizzoli giustappone agli accadimenti storici gli accadimenti emotivi. Svela le sue emozioni e le sue aspirazioni. I suoi, piccoli, segreti. Come per esempio l’abitudine di sentire il profumo del pallone prima dell’inizio di una partita. Lo fanno tanti bambini. Lo fanno tutti i bambini che sono innamorati del gioco del calcio. Lo fa Nicola Rizzoli, innamorato del calcio e del suo ruolo.
«Dopo cena, saluto tutti e vado in camera. Preparo la borsa con grande cura, ripetendo mentalmente l’elenco delle cose da portare, poi mi stendo sul letto e lascio rilassare gli occhi e la mente. Quindi, poco prima di dormire, proprio come ho fatto un anno fa per la finale di Champions League con quello della UEFA, mi sono seduto sul letto e, con ago e filo, cucio lo stemma Fifa sulla mia divisa rossa. Amo farlo personalmente, con le mie mani, come mi ha insegnato mia nonna tanti anni fa. È l’ultimo rito, il più importante, quello che più di tutti riesce a calmarmi».
Un amore e una passione che ha saputo trasformare in lavoro, ottenendo il massimo dei risultati a cui un arbitro può aspirare: arbitrare la finale del campionato mondiale di calcio. A lui è successo ed è successo nella patria per antonomasia del calcio, il Brasile. Il punto di arrivo di una lunga carriera che lo ha visto vincere sfide importanti. Un uomo di successo che dopo ogni risultato conseguito ha avuto la capacità di resettare e cominciare di nuovo con lo stesso entusiasmo della prima volta, cercando nuovi stimoli per nuovi successi. Soprattutto un arbitro che nutre una passione vera per il gioco del calcio e che, infondo al suo cuore, ha saputo custodire con cura il bambino che è in ognuno di noi.
«Mi lascio alle spalle i festeggiamenti di chi sta salendo le scale per andare a sollevare la Coppa del Mondo e comincio a camminare. Riesco a sentirmi finalmente solo con le mie emozioni. Mi trovo al centro, in mezzo ad almeno settantamila persone che urlano o piangono. Ora posso ammirare la cornice del Maracanà. Che spettacolo […] Ecco che gusto c’è a fare l’arbitro».

Che gusto c’è a fare l’arbitro, Nicola Rizzoli. A cura di Francesco Teniti (Rizzoli, 2015. 340 pagine. 17,50 euro)

Il più bel gioco del mondo, Gianni Brera

Il più bel gioco del mondo di Gianni Brera, il libro che abbiamo presentato nell’undicesima puntata di Calcio Totale, riconcilia con il calcio e con la letteratura.
Scritti scelti della grande penna del giornalismo italiano, non solo sportivo, dal 1949 al 1982. Quattrocentosessantanove pagine che si leggono tutte d’un fiato, pennellate d’autore che rendono giustizia di uno sport, il calcio, spesso maltrattato, inconsapevolmente, anche da chi lo racconta.
Dai primi articoli fino alla narrazione del mondiale di calcio di Spagna 1982, scritto per la Repubblica, che restituiscono, ancora oggi, un clima e sensazioni mai più provate per partite di calcio. E poi le parole spese per festeggiare il trentesimo compleanno di Gianni Rivera e su altri gradni e inimitabili campioni del calcio mondiale.
Un libro che il vero appassionato di calcio non può non avere nella sua, personale, libreria.

Il più bel gioco del mondo, Gianni Brera (Bur Rizzoli, 2007. 469 pagine. 12.20 euro)

Calcio. 1898-2010. Storia dello sport che ha fatto l’Italia, John Foot

La narrazione della storia del calcio italiano di John Foot, dalle origini fino ai nostri giorni, è una lettura piacevole e utile. Piacevole perché attraversa un secolo di accadimenti sportivi con una scrittura sempre in bilico tra cronaca sportiva e narrativa, e utile perché oltre a fornire molte informazioni specifiche, racconta antropologicamente anche un pezzo di storia del bel paese.
Si parte cronologicamente dal primo campionato italiano che si disputò a Torino nel maggio del 1898 in un solo giorno, ma subito dopo la navigazione continua per temi. Uno sviluppo verticale che consente di approfondire ogni tema con la libertà di focalizzare l’attenzione su ciò che davvero merita attenzione.
John Foot è un londinese che insegna Storia Italiana contemporanea a Londra che dichiara fin dall’introduzione a questa sua enciclopedica opera che il calcio italiano ha tante cose da farsi perdonare. A cominciare dall’acquisto del suo calciatore preferito, Liam Brady. Era il 1980 e la squadra responsabile di tale sacrilegio fu la Juventus. Le colpe maggiori però sono altre, innanzitutto gli scandali del calcio scommesse e di Calciopoli.
«Nel maggio 2006, gli italiani furono sconvolti dagli avvenimenti che si trasformarono nel più grande scandalo della storia dello sport, meglio conosciuto come «Calciopoli» oppure, occasionalmente, come «Moggiopoli», dal nome del suo protagonista principale, Luciano Moggi. Alcune settimane dopo, la Nazionale azzurra vinse la sua quarta Coppa del mondo. Nessuno scrittore avrebbe osato sperare in una così straordinaria combinazione di successo e squallore, abilità e corruzione».
Un inizio per niente politically correct che avverte immediatamente il lettore su ciò che l’aspetta. Una ricognizione completa e puntuale degli avvenimenti sportivi, ma contestualmente una lettura della società italiana che in questo calcio si rispecchia e si riconosce.
Foot introduce nella sua narrazione molte variazioni sul tema e la sua scrittura non ne risente e, anzi, lascia emergere dalla moltitudine dei protagonisti che hanno scritto la storia di questo sport il meglio e il peggio.
Al meglio appartiene «Concetto Lo Bello, il “Principe”, fu l’arbitro italiano più famoso di tutti i tempi. Autoritario, discusso, coraggioso, narcisista, diresse ben 328 partite in serie A tra il 1954 e il 1974. Lo Bello era anche un’icona dal punto di vista estetico. Alto, dall’aria distinta, impeccabile nel vestire, con il colletto bianco della divisa perfettamente stirato e il baffo sempre curato. Lo Bello riuscì, nel corso degli anni, a “importunare” tutti i grandi club, il che sembra indicare che fu quanto mai imparziale nel difficile mondo del calcio italiano».
Con Nicolò Carosio inizia invece il racconto del mondo della comunicazione sportiva, passando per Tutto il calcio minuto per minuto per approdare al miglior programma che è stato e continua ad essere è Sfide.
Una sezione significativa è dedicata al tifo e al pianeta autonomo rappresentato dai tifosi organizzati. Anche qui Foot racconta in modo crudo e diretto il carico di violenza, e in alcuni casi di morte, che accompagna le malefatte di gente senza scrupolo che rende invivibile luoghi che altrove sono solo e sempre luoghi al ritrovo e al divertimento. Il racconto qui si fa duro e propone una geografia aggiornata delle cattedrali che ospitano la follia di queste manifestazioni becere.
Violenza che in alcuni casi, isolati per fortuna, appartiene anche ai calciatori. Come per la Lazio della metà degli anni Settanta.
«Il sorprendente successo della Lazio nella prima metà degli anni Settanta – culminato con il primo scudetto della storia del club nella stagione 1973-74 – arrivò grazie a una squadra di ragazzacci, fascisti dichiarati, appassionati di paracadutismo e armati di pistola. Lottavano con le squadre avversarie dentro e fuori del campo – si scontrarono con i giocatori e lo staff dell’Arsenal all’esterno di un ristorante di Roma nel 1970 e con quelli dell’Ipswich negli spogliatoi nel 1973. E frequentemente facevano a botte tra di loro […] Al centro di questo gruppo pazzo, cattivo e pericoloso c’era proprio Giorgio Chinaglia».
Insieme al “peggio” c’è il “meglio” a bilanciare una narrazione che altrimenti sarebbe, forse, troppo sbilanciata e di parte. Le vicende umane e sportive di Gigi Meroni, piuttosto che quelle di Roberto Baggio o di Cristiano Lucarelli riconciliano con il bel calcio. Così come riconcilia con la vita la vicenda umana, prim’ancora che sportiva, che ha legato e lega tuttora Gigi Riva a Cagliari e alla Sardegna.
«Riva non abbandonò mai il Cagliari, malgrado le numerose offerte ricevute da tutti i grandi club, specialmente dalla Juventus alla quale il centravanti stava per essere ceduto nel 1973: ma lui rifiutò il trasferimento. La sua fedeltà alla maglia gli procurò affetto e stima eterni da parte dei suoi adoranti tifosi. La Juve – si disse – offrì sei giocatori in cambio di Riva […] Come scrisse Gianni Brera: “Lo scudetto del Cagliari rappresentò il vero ingresso della Sardegna in Italia”. Per lo scrittore Nanni Boi, Riva realizzò il “miracolo di unificare la Sardegna”, da sempre afflitta dalle divisioni interne».
Vicende e risultati sportivi che sostituiscono e rimpiazzano la politica e svolgono una funzione maieutica. Divengono un modello e un esempio da seguire.
Non poteva non esserci, con tutta la potenza della sua scrittura, Gioannin Brera che oltre ad offrire una lettura antropologica del Paese attraverso le diverse tattiche di gioco arricchisce il vocabolario della lingua italiana di nuove parole.
«Più di ogni altra cosa, Brera è famoso per l’invenzione di un nuovo linguaggio. Le sue iperboli linguistiche toccarono tutti gli aspetti del calcio. Molte di queste espressioni erano così azzeccate, efficaci o divertenti che sono diventate parte del linguaggio italiano, e non solo del gergo calcistico. Melina – il termine che indica il passarsi la palla per perdere tempo – è una delle sue invenzioni. Brera coniò soprannomi che colpivano – “Rombo di Tuono” per Riva, “Abatino” per Rivera eccetera – e che divennero persino parte della personalità dei giocatori coinvolti. Era unico, uno che poteva e non può essere copiato. Sono stati pubblicati anche dizionari sul suo calcio-idioma. Pochissimi uomini di penna hanno aggiunto così tante parole alla lingua scritta e parlata, e nessuno prima e dopo di lui ha più scritto con tale stile, eleganza e originalità sui ciò che una volta era il gioco più bello».
Un’opera dunque che diverte, rilassa e induce alla riflessione e che pur stigmatizzando i comportamenti di molti lascia aperta la porta alla speranza.
«A volte durante la stesura del libro, mi sono sentito come Malcom McDowell in Arancia meccanica. Sono stato costretto a guardare cose che, alla fine, mi hanno nauseato. Non pensavo fosse possibile, ma mi sono quasi disamorato del calcio […] Ma tutto ciò non è bastato per farmi smettere completamente di seguire il calcio. Mi sono tenuto in disparte e di fronte a certi episodi il tutto ha acquisito un senso. Per esempio guardare Roberto Baggio segnare il suo duecentesimo gol, o Francesco Totti esplodere uno dei suoi tiri potenti, o Lilian Thuram, per la millesima volta nella sua carriera, stoppare la palla, alzare lo sguardo e passarla elegantemente a un centrocampista. Questi momenti, e molti altri, hanno fatto del calcio il gioco più bello. Non può essere definito così, soprattutto in Italia, ma non tutto è ancora perduto».

Calcio. 1898-2010. Storia dello sport che ha fatto l’Italia, John Foot (2012, BUR Rizzoli, 624 pagine. 23,00 euro)

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