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Zeman è per sempre

Da oggi Zdeněk Zeman non è più, ufficialmente, l’allenatore del Pescara. Dopo l’intervento chirurgico a cui si è sottoposto questa settimana e non avendo, per il momento, l’idoneità sportiva, ha rassegnato le sue dimissioni.

Molto probabilmente la carriera dell’allenatore boemo termina a Pescara, laddove nel 2012 aveva scritto una delle pagine più belle del calcio italiano con la promozione in serie A della squadra adriatica e lanciando nel grande calcio calciatori come Lorenzo Insigne, Marco Verratti e Ciro Immobile.

Termina la carriera di allenatore sul campo, ma non finisce l’influenza che eserciterà sull’intero movimento calcistico, perché l’efficacia e la bellezza del suo calcio offensivo continueranno a vivere nei movimenti in campo che altri allenatori insegneranno ai propri calciatori sulla scia del suo esempio.

Se consultate la lettera zeta della voce neologismi della Treccani troverete questa definizione.

Zemanlandia: s. f. Il sistema di gioco, fantasioso e votato all’attacco, ideato e adottato dall’allenatore di calcio boemo Zdeněk Zeman.

Ovvero la voce Zemanlandia, associata alla vocazione delle sue squadre di segnare moltissimi gol, non è solo un modo di dire, ma è scritta sul vocabolario. Si dice Zemanlandia e s’intende calcio offensivo. Per questa ragione Zeman è per sempre, resterà scritto, nero su bianco, sulle pagine della storia del calcio.

Rambaudi, Baiano e Signori a Foggia; Rambaudi, Alen Bokšić e Signori alla Lazio; Paulo Sérgio, Marco Delvecchio, Francesco Totti alla Roma; Mirko Vučinić, Valeri Božinov, Babù al Lecce; Marco Sansovini, Ciro Immobile, Lorenzo Insigne al Pescara.

Alcuni dei tridenti d’attacco delle squadre allenate da Zeman che hanno fatto la gioia di tantissimi tifosi e di tantissimi appassionati di calcio, perché l’allenatore di Praga ha sempre avuto molti estimatori anche tra i tifosi di squadre non sue.

A Zeman va il mio grazie per avervi fatto amare il calcio in tutti questi anni.

Amo la verità del suo calcio che si è sempre espressa con la ricerca del gol e della vittoria attraverso il bel gioco, il rispetto per gli avversari e per il pubblico.

Amo il suo modo di essere uomo, i valori che ha espresso con i suoi comportamenti, il coraggio di denunciare l’esistenza del doping nel calcio italiano. Il suo essere, sempre, un hombre vertical.

Amo la sua ironia e la sua leggerezza. Il suo sorriso.

Gli auguro di rimettere al più presto la tuta e di ritornare su un campo di calcio per continuare a dare consigli, trasmettere alle nuove generazioni di allenatori l’unica cosa che conta nel suo modo di intendere il calcio: «Non è vero che non mi piace vincere: mi piace vincere rispettando le regole».


La foto che accompagna l’articolo è di Massimo Mucciante

Roma-Pescara_27 novembre 2016

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Jean Bahebeck a terra. Il giovane attaccante del Pescara si è infortunato al rientro in squadra. Il suo futuro con i biancazzurri è in bilico.

Il Toro non può perdere, Eraldo Pecci

Scrive Gianni Mura nella prefazione: «questo, che sembra un libro rievocativo dello scudetto ’76, in realtà è una storia d’amore e a me piacciono le storie d’amore». Leggendo queste parole mi sono tornate in mente altre parole, lette tanti anni fa, che delimitano e restringono il concetto espresso da Mura. «Tutte le storie sono storie d’amore», scrive Robert McLiam Wilson in Eureka street. E ciò che racconta Eraldo Pecci ne il Il Toro non può perdere è davvero una bella storia, una bella storia d’amore. La narrazione di un mondo che non c’è più, «Erano altri tempi, torno a dirlo» scrive sempre Mura, travolto e cambiato da un’omologazione del pensiero che non ha eguali nell’evoluzione dei comportamenti umani. Un’umanità, rievocata anche nelle pagine scritte da Eraldo Pecci, che c’informa di un Paese migliore, sano e ricco di futuro.
La magica stagione ’75-76, il sottotiolo del libro, è la stagione della conquista dell’ultimo scudetto del Toro, uno scudetto che Pecci conquista al primo anno con la maglia granata. Una maglia passata direttamente dalla storia alla leggenda nel pomeriggio del 4 maggio 1949, il giorno del tragico incidente che causò la morte di un’intera squadra che aveva vinto cinque scudetti consecutivi.
Il giovane Eraldo si accorge fin dal primo momento che indossare la maglia granata è un privilegio e nello stesso tempo molto difficile.
«La differenza che c’è tra le città d’Italia dove ci sono due squadre e Torino è che a Torino ci sono “loro”, i gobbi. A Milano succede che in un certo periodo vada meglio il Milan e in un altro l’Inter. Succede così anche a Roma tra Lazio e Roma o a Genova tra Genoa e Sampdoria. A Torino no, a Torino ci sono “loro”, che sono padroni del giornale, padroni della tv, padroni della banca e, tramite la Fiat, padroni della città. Non c’è gara».
Eppure in quell’annata, calcisticamente fantastica e irripetibile, il Toro vinse lo scudetto conquistando 45 punti contro i 43 della Juventus. Era il Toro del “giaguaro”, dei “gemelli del gol”, del “poeta”. Questa la formazione titolare: Castellini, Santin, Salvadori, Patrizio Sala, Mozzini, Caporale, Claudio Sala, Pecci, Graziani, Zaccarelli, Pulici. Una squadra efficace e bella da vedere che rinverdì, anche se per pochi anni, i fasti del “Grande Torino”. Una squadra che giocava in velocità con un pressing alto in fase di non possesso palla che solo molti anni dopo si rivedrà, applicato sistematicamente, nel campionato italiano di calcio. Una squadra ruvida e nello stesso tempo con un alto tasso tecnico garantito da calciatori che hanno segnato la storia calcistica non solo del Toro. Paolo Pulici, Ciccio Graziani, Claudio Sala, Renato Zaccarelli, lo stesso Eraldo Pecci.
Ma un’impresa, perché quella del Toro del 1975 fu una vera impresa, non si realizza soltanto con gli undici calciatori che la domenica vince le partite sul terreno di gioco. Un’impresa come quella realizzata dal Torino nella stagione sportiva 1975/76 si costruisce se c’è un gruppo allargato di persone che lavora e vive in armonia. Questo gruppo Pecci non l’ha dimenticato, anzi è proprio a loro che dedica le pagine più belle del suo libro. Bruno Vigato (il magazziniere), la signora Franca (responsabile spogliatoio “Fila”), la famiglia Pasotti (il ristorante del circolo del Toro), Domenico Magrini (l’artigiano delle scarpe da calcio), il signor Porzio (addetto all’arbitro), Giacomo Franco detto “Nino” (accompagnatore di Radice), Bruno Colla e Giovanni Monti (massaggiatori), sono solo alcuni rappresentanti della fauna umana presente nel libro e che rese possibile, assieme ai calciatori ovviamente, quello splendido trionfo sportivo.
Pecci non dimentica niente e nessuno. C’è spazio infatti anche per la letteratura con Giovanni Arpino e la sua Me grand Turin, così come c’è, ovviamente, il giusto spazio per Luciano Orfeo Pianelli che Pecci definisce come «il miglior presidente che ho avuto in tanti di carriera […] Mi fermo ancora oggi al cimitero di Villefranche a salutare il mio Pres davanti alla tomba che divide con donna Cecilia. Sulla lapide ci sono spesso fiori freschi, a volte fiori di tifosi granata».
A questo si giustappone la narrazione degli eventi sportivi che determinarono quella storica vittoria. Le partite, i gol, gli aneddoti, i protagonisti. A completare il tutto 34 fotografie (più 2 della copertina), quasi tutte in bianco e nero, che hanno la capacità di saper riavvolgere il nastro dei ricordi e trasportati, per il tempo della lettura, ad esultare con Pulici e Graziani, con Castellini e Claudio Sala e, ovviamente, con quel ragazzo dall’accento bolognese e la maglia numero 8 sulle spalle: Eraldo Pecci.

Il Toro non può perdere, Eraldo Pecci (2013, Rizzoli, 288 pagine. 18 euro) 

Al via la nuova rubrica “Pillole” di Calcio Totale

Avevo scritto più di una volta l’introduzione alla rubrica di Pillole di Calcio Totale, poi ho letto l’articolo di Arrigo Sacchi per l’inizio del campionato italiano di serie A e ho capito che non ci poteva essere miglior inizio per questa nostra rubrica. Ve lo proponiamo in versione integrale perché ci riconosciamo in pieno, dalla prima all’ultima parola. Buon campionato a tutti.

Arrigo Sacchi (Gazzetta dello Sport, 24 agosto 2013)
Ricomincia il campionato: come sarà? Nell’Italia dell’immobilismo è facile prevedere che non vi saranno grandi cambiamenti tattici e tecnici. Continueremo a pensare, concepire e purtroppo ad allenare il calcio come fosse uno sport individuale anche se è uno sport di squadra. Continueremo a disconoscere l’importanza del gioco: non fa parte della nostra cultura ed essendo una componente astratta è di difficile comprensione per i meno attenti.
Il gioco è quello che per la cinematografia è la trama e lo spartito nella musica, ecc.: elementi imprescindibili per dare un senso a tutto, senza i quali vi sarebbe solo improvvisazione e pressapochismo. Il gioco è l’elemento che forma la squadra unitamente alla motivazione, ma rispetto a quest’ultima è ancora più determinante per far compiere il salto di qualità collettivo e individuale. Più il gioco sarà qualificato e innovativo, più darà idee, chiarezze, collaborazione, conoscenza, organizzazione, tempistiche, fluidità, fantasia, tecnica e armonia. In generale si pensa il contrario: che un giocatore sia l’esecutore eccellente e l’inventore. Messi è un esecutore straordinario del gioco del Barcellona ma non lo è con l’Argentina dove non vince quasi mai, ci sarà un motivo che riguarda una differenza di organizzazione di gioco.
In Italia dove la conoscenza di un gioco spesso è nebulosa, molti puntano tutto sul singolo che deve essere un direttore del gioco, e la squadra difficilmente avrà armonia ed intensità.
In un ambiente assai superficiale può capitare che Conte, il migliore allenatore, lo si noti principalmente per la grinta, trascurando le capacità didattiche, la sensibilità, il talento, l’originalità delle idee e la personalità. La Juve è la grande favorita per i mass-media solamente se acquista grandi individualità, dimenticandosi le idee del gioco che hanno trasformato i mediocri in buoni calciatori e i buoni in ottimi. È la storia recente di molti calciatori juventini che solo due anni fa si davano per finiti e senza futuro (Buffon, Bonucci, Chiellini, Barzagli, Marchisio, Pirlo e lo stesso Vucinic).
La Vecchia Signora è la grande favorita perché ha prima di tutto un gioco più moderno, fantasioso e acculturato. L’idea è il calcio totale, che guida gli acquisti di calciatori prima di tutto funzionali, globali poi abili. La Fiorentina di Montella ha un progetto tecnico interessante e coinvolgente: il gioco è il suo leader e l’ispirazione è anche in questo caso il calcio totale che esalta i propri giocatori. Vincenzo dovrà lavorare sulla fase di non possesso ma la squadra attua già un calcio positivo dove cerca di avere il comando del campo e del pallone, Gomez potrà aiutarlo unicamente se si inserirà nel copione. Il Milan di Allegri è a metà del guado. Il club non pensi di risolvere il problema del gioco attraverso il singolo, solo Allegri potrà permettere un calcio di qualità che potrà dare idee ed innovazioni superiori a quelle attuali. Per storia e competenze dirigenziali potrebbe essere un’avversaria seria della Juve. Possiede giovani interessanti e calciatori di buon livello come erano gli juventini due anni fa, buon lavoro. Il Napoli ha cambiato allenatore e modo di intendere il calcio: Benitez si ispira al calcio totale. Rafa dovrà lavorare molto anche perché gli è stato venduto Cavani: uno dei più grandi interpreti del calcio totale. Higuain è un ottimo giocatore ma è uno specialista più che un calciatore globale. Nonostante la grande stima che ho per Rafa non vedo gli azzurri rinforzati. La Roma aveva un progetto a termine interessante: gli acquisti di giovani talenti (Lamela, Marquinhos, Pjanic, Florenzi, ecc.). Ora sembra che le necessità di cassa non permettano la continuazione di quel programma. Mi sembra una situazione confusa. La Lazio per essere competitiva rispettando i bilanci economici (grande merito) si affida a un calcio prudente, spero che l’ottimo Petkovic sia più innovativo e si ricordi che tutte le grandi squadre degli ultimi quarant’anni (Ajax, Milan, Barça, Bayern) si sono ispirate al calcio totale. L’Inter di Mazzarri parte con grandi vantaggi: fare peggio dell’ultimo anno sarà difficile e la mancanza di impegni internazionali gli consentirà un’azione di lavoro con minor dispendio di energie. Mazzarri è un allenatore con grande energia e idee chiare, si ispira a un calcio all’italiana modernizzato. Sa scegliere i giocatori più idonei. Il gioco non è sempre «intonato» ma i risultati con Walter sono sempre arrivati: i nerazzurri potrebbero essere un avversario duro per tutti.
Finché il gioco e la squadra non saranno al centro del progetto tecnico, e si punterà prevalentemente sui singoli per risolvere le partite, sarà difficile avere bilanci economici sani e ancora di più utilizzare giovani talenti italiani anche se siamo vice campioni d’Europa con le nazionali Under 17 e 21. Com’è difficile in Italia rinnovarsi.

Pillole di calcio totale (prima puntata)

Prima che il gallo canti

La lettura dei quotidiani riserva sempre qualche sorpresa. Pensiamo di saper tutto perché oggi l’informazione è dappertutto, in cielo in terra e in ogni luogo, e invece scopriamo che non è sempre così. Stamattina per esempio, mi sono imbattuto in un’affermazione quasi evangelica a proposito di Zdeněk Zeman. A scrivere non era Marco, «Prima che il gallo canti due volte, mi rinnegherai per tre volte», ma sempre di tradimento si parlava. Il traditore sarebbe stato l’allenatore di Praga. Avrebbe tradito per ben due volte non tre, per questo siamo certi che a scrivere non sia stato Marco.
Il primo tradimento risale all’estate dello scorso anno mentre il secondo è fresco di giornata, risale a ieri, ovvero la rinuncia a tornare sulla panchina del Pescara.
Se fossi Marco scriverei che in queste due affermazioni coesistono quattro bugie e potrei fermarmi qui. Mi dovreste credere sulla parola. Ma non sono Marco, sono un giornalista è ho il dovere, se faccio delle affermazioni, di spiegare il perché.
Partiamo dal tradimento più vecchio. La scorsa estate, quando Zeman accettò la proposta della Roma di firmare un contratto biennale, non ci fu nessun tradimento perché non c’era nessun vincolo contrattuale tra il Pescara e Zeman. Al contrario Zeman aveva detto in più occasioni, anche a campionato in corso che se fosse arrivata una chiamata della Roma non avrebbe detto di no. Quindi la prima affermazione è falsa. Chi la scrive mente, sapendo di mentire. A patto, ovviamente, che chi scrive sia consapevole di ciò che scrive.
La seconda affermazione, la rinuncia a tornare sulla panchina del Pescara, è invece vera, ma è falsa l’accusa di tradimento. È falsa perché a Zeman è stata fatta una proposta e questa proposta lui ha risposto semplicemente di no. Non aveva alimentato nessuna fantasia, non si era impegnato neanche solo minimante e aveva sempre detto che avrebbe deciso con calma il suo futuro. Non il suo futuro a Pescara, ma il suo futuro.
Quindi più che un giudizio che si basa sui fatti, i due tradimenti sembrano frutto più di un’acredine personale, di cui s’ignorano i presupposti, che affermazioni supportate da fatti.
Lo stesso autore, non Marco dunque, scriveva non più tardi di qualche mese fa che la campagna acquisti del Pescara era stata un «mercato d’oro», credo che fosse proprio questa l’espressione utilizzata, e che avrebbe procurato molti utili alla società. Guardando la classifica finale della squadra sappiamo che da un punto di vista tecnico quella campagna acquisti è stata un fallimento, vedremo, tra pochi giorni, se sarà così anche da un punto di vista finanziario. I fatti, fino ad oggi, hanno dimostrato che anche quella affermazione era falsa.
Così come nell’ultimo mese aveva annunciato, a giorni alterni e a otto colonne, il ritorno di Zeman sulla panchina del Pescara. A dire la verità nei giorni pari parlava di Zeman, in quelli dispari di Giampaolo. Sappiamo oggi che non era vera né la prima notizia, tantomeno la seconda. Il nuovo allenatore del Pescara sarà Pasquale Marino.
Se fossimo negli Stati Uniti d’America, molto probabilmente, l’autore di queste notizie false pagherebbe pegno. Sono notizie false perché non si tratta di errori, quelli può commetterli chiunque, ma di notizie fondate quasi esclusivamente sul nulla. Ma siamo in Italia e in Italia la memoria collettiva non esiste e se esiste è corta, a volte cortissima. Il gallo domani mattina canterà come sempre e ci saranno ancora persone che scriveranno di falsi tradimenti, per fortuna però, in Italia, i quotidiani si leggono sempre meno. Anche perché Marco, quel Marco, non scrive più da tempo.

«Stultum est dicere: putabam»

A Napoli i tifosi delle due curve battono ritmicamente le mani. Si sentono con chiarezza i cori e la voce dei tifosi. Un tifo incessante che dura per tutti i novanta minuti della partita anche se il Napoli gioca contro l’ultima in classifica. La pressione è tanta per i protagonisti in campo. Una pressione che nasce dalla passione senza se e senza ma dei tifosi partenopei. Vale per la squadra in generale e vale, a maggior ragione, per i singoli protagonisti. Più è alta la considerazione che si ha del singolo calciatore più è alta l’attenzione. E il livello della considerazione è evidente fin dall’annuncio ufficiale delle formazioni. La voce dell’altoparlante annuncia: «Con il numero ventiquattro…Lo-ren-zo…», e il pubblico all’unisono risponde con la stessa cadenza «In-si-gne». Mi piace pensare che Pier Paolo Pasolini abbia scritto del calcio come ultima rappresentazione sacra della nostra società assistendo proprio a una partita del Napoli.
Poi inizia la partita e il sogno di bambino legato alla coreografia del tifo, ai cori, ai colori, al profumo dell’erba, che solo uno stadio di calcio sa trasmettere svanisce in quindici minuti. Il tempo necessario al Napoli di Hamsik e Cavani di segnare due gol, sfiorandone altrettanti. Svanisce il sogno perché per quanto ci si sforzi di vedere dei piccoli, ma non significativi, miglioramenti nel gioco della squadra adriatica, non si può continuare a sognare se la squadra perde sempre. Il Napoli è di un’altra categoria rispetto al Pescara e nessuno può metterlo in dubbio, ma alla fine della partita il risultato è, ancora una volta, impietoso: 5-1. E ancora una volta, come è già successo per la partita contro la Roma, in tanti evidenziano più i segnali positivi della squadra che gli aspetti negativi. Inizia la gara dei “se” e dei “ma”. Se il Pescara fosse rimasto in undici contro undici. Se fosse stato assegnato il rigore. Se Vukusic avesse sfruttato bene l’occasione che gli è capitata tra i piedi sul 2-1.
Al liceo avevo un professore di italiano e latino molto bravo e temuto da tutti i suoi studenti. Ho tanti ricordi e aneddoti legati alle sue “mitiche” interrogazioni, ma ce n’è uno che più di tutti mi è rimasto impresso. Quando qualche studente era impreparato e voleva giustificarsi adducendo improbabili cause lui, il professore, abbassava gli occhi sul registro e in maniera molto evidente faceva capire che stava scrivendo due nella casella corrispondente all’impreparato di turno. Poi alzava gli occhi dal registro, toglieva gli occhiali e si sedeva sulla scrivania. Questa pantomima durava pochi secondi che per noi duravano un’eternità. Poi schiariva la voce e proferiva in latino: «Stultum est dicere: putabam». Da quel momento in poi il silenzio regnava sovrano nella classe per interrompersi solo al suono della campanella che segnalava il cambio dell’ora. Se il mio professore di italiano e latino fosse qui ad ascoltare le giustificazioni pronunciate dopo queste ultime due partite disputate dal Pescara, e che accomunano molti sotto il cielo biancazzurro, sono certo pronuncerebbe lo stesso, identico, ammonimento.
Infine, last but not least direbbero a Londra, una breve, brevissima, considerazione su Lorenzo “il primo violino” Insigne.
Non è più il calciatore che “spacca” le partite. Pur disputando una buona gara, ha messo il piede in tre dei cinque gol del Napoli, sembra aver perso il guizzo che gli faceva intuire l’azione qualche frazione di secondo prima degli avversari. Svolge il compitino che gli ha assegnato il suo nuovo allenatore. Non cerca più la giocate e il gol, ma è costretto ad essere il portatore d’acqua di Cavani. Se qualcuno può togliesse Insigne dalle cure di Mazzarri e lo restituisse al calcio italiano.

Praeiudicium

L’accoglienza riservata a Cristiano Bergodi da parte dell’ambiente sportivo di Pescara, tifosi e addetti ai lavori, non è stata tiepida o addirittura ostile come lo fu per Giovannino Stroppa. È stata certamente una buona accoglienza.
I tifosi, da sempre la componente più esigente della vasta platea che segue il calcio, sono in verità divisi a metà. C’è chi sostiene che la “pescaresità” acquisita di Bergodi sia un elemento importante, se non determinate, per il buon esito della sua missione. Altri invece pensano che non abbia sufficiente esperienza o che comunque non sia la persona giusta per poter raggiungere l’obiettivo prefissato della salvezza.
Gli addetti ai lavori (quasi tutti) si sono schierati, decantandone le doti fin dal primo incontro, con il nuovo tecnico non risparmiando le ultime punture di veleno per il bassaiolo di Mulazzano.
Siamo dunque in presenza di un evidente pregiudizio da parte di molti, sia nel caso di Bergodi sia nel caso di Giovannino Stroppa.
Nel caso di Stroppa è parso evidente fin dalla conferenza stampa di presentazione che il clima per lui sarebbe stato difficile se non ostile. Il suo «dimenticare Zeman», pronunciato ingenuamente dal tecnico lombardo nel giorno del battesimo pescarese, è diventato un tormentone che non lo ha abbandonato fino al giorno delle sue dimissioni.
Bergodi invece non ha avuto bisogno di presentazioni particolari, lui è di casa a Pescara e conosce personalmente quasi tutti gli addetti ai lavori. Pur essendo anche lui, proprio come il suo predecessore, esordiente in serie A non ha subito il fuoco incrociato delle domande sull’inesperienza, anzi questo argomento non è stato affrontato come se l’esperienza maturata in Romania potesse colmare la mancanza di panchine in serie A. Anche l’esordio negativo, certamente dal punto di vista del risultato maturato in campo, contro la Roma non ha avuto riscontro sulle narrazioni lette nei giorni successivi. Al contrario, leggendo le cronache e i commenti post partita si ha l’impressione che il malato sia sulla strada della guarigione. Poco importa se il Pescara non ha mai tirato in porta e non ha costruito nessuna azione davvero pericolosa per la porta difesa da Goicoechea e che la Roma, come l’Inter, l’Atalanta, la Lazio, La Juventus e perfino il Parma, sembrava stesse facendo poco più che un allenamento infrasettimanale.
Praeiudicium, appunto.
Ognuno vede ciò che vuol vedere, ma soprattutto prevede ciò che vuol prevedere. Si è messo in risalto la parte finale della partita, l’ultima frazione di gioco in cui, ai più, è sembrato che la squadra biancazzurra potesse davvero pareggiare la partita.
Più realisti del re.
E invece con molta sincerità il neo allenatore del Pescara nelle dichiarazioni post partita ha ammesso che c’è molto da lavorare e che la squadra è mancata soprattutto in fase d’impostazione non costruendo nessuna palla gol.
Certo Bergodi non poteva fare molto in quattro giorni. È ripartito dal 5-3-2 di Stroppa spostando in avanti il prezzo pregiato della squadra, Quintero. L’esperimento non ha dato un esito positivo perché il giovane colombiano è stato una delle delusioni di giornata. Con lui Perin che, pur salvando la porta del Pescara in almeno due occasioni su Mattia Destro, ha la responsabilità del gol che ha consentito alla Roma di portare a casa l’intero bottino.
Cristiano Bergodi sa che non ha molto tempo per capire la qualità degli uomini che ha a disposizione e che il mercato di gennaio, purtroppo, non è vicino. Vedremo già dalla prossima partita, a Napoli contro l’ex Insigne, se sarà capace d’invertire la rotta e condurre il Pescara verso porti più sicuri.

UP
1. Torino
Exploit della squadra di Ventura che espugna il Rigamonti ridimensionando il valore dell’Atalanta. Scatenati i granata che segnano ben cinque reti e con questa vittoria provano a tirarsi fuori dalla bagarre delle squadre impegnate nella lotta per non retrocedere. Adesso è chiamato a confermare, nelle prossime partite, quanto di buono fatto fino a oggi.

2. Giovannino Stroppa
Tutti i commentatori hanno pronosticato il Pescara in serie B con poche possibilità di errore. Invece Giovannino Stroppa, il bassaiolo di Mulazzano, pur avendo avuto la rosa a disposizione solo a campionato iniziato sta dimostrando tutto il suo valore. Partito molto male ha saputo far tesoro dei suoi errori e ha cambiato idea dimostrando di essere una persona intelligente. In estate quando fu scelto dalla società in pochi capirono questa scelta. Il calcio, e questo in pochi lo comprendono, è per molti ma non è per tutti.

3. Fabrizio Miccoli
Riconquista una maglia da titolare e il Palermo torna a volare. Segna una tripletta con un gol, il terzo, di rara bellezza. Trascinatore in campo e fuori è il vero leader di questa squadra. Gasperini può essere tranquillo che il suo lavoro a Palermo durerà a lungo. Lo chiamano il Romario del Salento, dopo il gol di ieri e almeno per un giorno chiamiamolo il Maradona del Salento, lo merita.

DOWN
1. Roma
I primi venti minuti di Juventus-Roma ricordano l’apprendistato del primo Foggia. Errori singoli e di squadra che hanno determinato una sconfitta pesantissima non solo nel risultato ma proprio nella prestazione. La squadra ha perso la partita prim’ancora di scendere in campo. Un portiere inadeguato al compito e un De Rossi che, al di la della negativa prestazione, dopo le dichiarazioni del post partita andrebbe fatto accomodare in tribuna fino a gennaio.

2. Dirigenza e tifoseria della Juventus
Aver mandato il quarto allenatore alla conferenza stampa nel prepartita di Juventus-Roma da la dimensione comportamentale del gruppo dirigente della Juventus. Andrea Agnelli e Beppe Marotta con il loro comportamento e le loro dichiarazioni sono la dimostrazione plastica che è molto più difficile saper vincere che saper perdere. La tifoseria segue a ruota la dirigenza mostrando allo stadio tutti gli striscioni al rovescio come a voler dire al tecnico della Roma, oggetto di insulti per tutta la partita, non meriti nemmeno di vedere le nostre insegne. In tutt’altro modo si comportarono i tifosi dell’Inter che accolsero l’allenatore della Roma con uno striscione di benvenuto.

3. Chievo
Per la prima volta da diversi anni il Chievo si trova nella zona bassa della classifica. Non eravamo abituati a vederlo in queste posizioni e forse non lo sono nemmeno i calciatori. Mimmo Di Carlo, la cui panchina pare essere in pericolo, dovrà cercare di recuperare già dalla prossima partita posizioni in classifica altrimenti la situazione diventerà insostenibile per lui è per la squadra.

© 2021 Calcio Totale / Testata giornalistica registrata presso il Tribunale di Pescara il 03/09/2014 al n° 11. Registro della Stampa del Tribunale di Pescara n° 11-2014.

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