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Sconfitta che brucia

La sconfitta subita contro il Crotone lascia il segno e consegna alla storia di questo campionato la prima manifestazione di dissenso da parte dei tifosi nei confronti di società, calciatori e, per la prima volta in assoluto, anche per Massimo Oddo.
Una sconfitta che lascia l’amaro in bocca per come è maturata e restituisce una realtà con la quale bisogna fare i conti. Aldilà degli errori individuali e collettivi che la squadra compie, ciò che più brucia di quest’ultima sconfitta è l’atteggiamento avuto in campo.

Serve più concentrazione e carica agonistica
Contro il Cagliari, nell’ultima partita casalinga, la squadra pur mostrando i limiti che ormai abbiamo imparato a riconoscere, ha lottato fino all’ultimo secondo dell’ultimo minuto e proprio grazie a questo è riuscita a pareggiare la partita. Certo il comportamento tattico dei rossoblu, rintanati negli ultimi trenta metri di campo come se stessero difendendo il Sacro Gral, ha favorito e agevolato il compito dei biancazzurri, ma ciò che è piaciuto di quella partita è stato proprio il furore agonistico.

Continuità di prestazioni, altrimenti il destino è segnato
Da ora in poi tutte le partite andranno affrontate con la stessa intensità e con la volontà di arrivare sempre primi sul pallone, altrimenti sarà, inesorabilmente, serie B. Su questo aspetto Massimo Oddo può e deve lavorare, è un suo compito. Acclarati i limiti tecnici della squadra è giunto il tempo per l’allenatore di mostrare se è in grado d’incidere sulla volontà dei sui calciatori. Se è capace di motivarli. Se è capace di non far scemare la tensione che fino ad oggi ha funzionato a corrente alternata. Un compito duro, ma è l’unica strada percorribile. Il tempo sta per scadere e i prossimi due impegni possono già determinare e indirizzare l’esito dell’intera stagione.

Buon calcio a tutti.

«È un mondo difficile, E vita intensa, Felicità a momenti, E futuro incerto…»

Tonino Carotone canta «È un mondo difficile, E vita intensa, Felicità a momenti, E futuro incerto…» e fotografa esattamente il momento che sta attraversando il Pescara di Massimo Oddo. Le ultime sette partite raccontano di un Pescara sciupone e nello stesso tempo inadeguato per competere ai massimi livelli in serie B.
Quattro sconfitte e tre pareggi. Dieci gol realizzati e sedici subiti. Tre i punti raccolti.
È evidente che se non ci sarà un brusco cambio di marcia il campionato più che positivo disputato fino a qualche settimana fa rischia di diventare solo uno sbiadito ricordo. Anzi, se non s’inverte immediatamente la rotta potrebbe essere a rischio anche la partecipazione ai play off, approdo più che sicuro fino a qualche giornata fa.

Troppi gol subiti
Se si escludono le ultime tre della classifica più Avellino e Ascoli, il Pescara è la squadra che ha subito più gol in tutta la serie B. Quarantuno gol subiti. E se analizziamo il modo in cui il Pescara subisce gol ci accorgiamo che molti sono simili. Simili nella preparazione e nell’esecuzione. I biancazzurri inoltre subiscono gol, spesso, a difesa schierata. Evidente dunque che il problema principale è proprio questo. Si difende in undici si sente dire dagli allenatori, è vero. Ma molto dipende dalla qualità dei difensori che hai a disposizione. Una verità lapalissiana di cui sarebbe bene prendere atto e comportarsi di conseguenza.

Contro il Crotone per rilanciarsi
La partita contro il Crotone giunge dunque a proposito. Una buona prestazione premiata anche da un risultato positivo potrebbe rilanciare il Pescara e restituire quella “leggerezza” che ha caratterizzato, fino ad ora, la gestione di Massimo Oddo. La squadra ha le possibilità di riscattarsi a patto che tutti, allenatore in testa, riflettano sugli errori compiuti e riprendano il cammino interrotto di comune accordo.

Buon calcio a tutti.

Il campionato degli Italiani

È da pochi giorni in libreria un’antologia di racconti sulle città che partecipano al campionato di calcio di serie B. S’intitola Il campionato degli italiani, 22 giornalisti e scrittori per 22 racconti sulle 22 squadre della serie cadetta, un’antologia che fonde il calcio con il tessuto sociale. Ventidue racconti sul calcio e sulle realtà cittadine delle squadre che compongono la serie B 2015/16.

Ecco la rosa: Titti Festa (Avellino), Marco Amabili (Ascoli), Bruno Palermo (Crotone), Gaetano Imparato (Livorno), Oscar Buonamano (Pescara), Lorenzo Mazzoni (Viruts Lanciano), Francesco Vannutelli (Perugia), Mauro Frugone (Virtus Entella), Roberto Guerriero (Salernitana), Sergio Fortini (Novara), Nicola Conforti (Trapani), Mauro Corno (Como), Andrea De Carlo (Modena), Gianluca Mattioli (Cesena), Marco Ursano (Spezia), Eva Pommerouge (Latina), Gianluca Atlante (Bari), Luca Biribanti (Ternana), Gianpaolo Laffranchi (Brescia), Franco Cottini (Pro Vercelli), Enrico Astolfi (Cagliari), Filippo Landini (Vicenza).
L’allenatore è l’ideatore e curatore del progetto editoriale, Gian Luca Campagna.

Dal mondo singolarmente provinciale di Latina fatto di procaci milf interessate più ai garretti dei calciatori che al pallone alla passionale armonia di una città d’acciaio come Terni. Dai ricordi con gli occhi di un bambino del braccio chiuso di Sollier dopo una rete alla morte di Renato Curi a Perugia, al dramma degli immigrati che Trapani vive ogni stagione. Da una scommessa nata male e finita peggio a Lanciano alla leggenda del fratello sfigato di Dan Corneliusson sul ramo del lago di Como. Dalla tradizione olimpica e pitagorica di Crotone alla realtà colma di calcio e di vita di Salerno. Dalla sciarpa portafortuna di un tifoso del Cesena allo spigoloso momento che vive un ultras del Novara. Dai sogni e le delusioni di un bambino che tifa Avellino all’ironia della giovanissima Pro Vercelli che regala all’Inter una lavagna. Dalla tensione del cronista che attende il ripescaggio del ‘suo’ Ascoli in B al quadro picaresco, noir e cinico di una La Spezia preda della criminalità. Dal dramma intimo e familiare di un tifoso del Vicenza ai sogni di un giovane che desidera giocare nel suo Entella. Dai ricordi in bianco e nero di due tifosi del Pescara passando per YouTube e Twitter alla sorprendente solidarietà ‘a livello ultras’ dei tifosi del Cagliari. Dai sogni di una notte di mezza estate a Modena con le preghiere alla Ghirlandina alle vicissitudini di un giovane ghanese con problemi di carta d’identità a Brescia. Dai sogni di un giovane che un giorno esordisce con la maglia del suo Bari al ricordo sempre vivo di chiaroscuro e colmo di lacrime per il giovane amaranto Piermario Morosini, morto in campo il 14 aprile 2012 durante Pescara-Livorno, cui è dedicata quest’antologia.
Ci provano tutti a infangarlo, a sgonfiarlo, a rottamarlo, ma il pallone, stoicamente, resiste grazie alla passione della gente. Perché si rigenera. Si rigenera «ogni volta che un bambino prende a calci un pallone per strada è lì che rinasce la storia del calcio». Lo ha scritto tanti anni fa. E, ancora oggi, con questi racconti, sappiamo che è straordinariamente vero.

Finalmente ritorna il campionato

È il caso di dirlo con molta franchezza, meno male che ritorna il calcio giocato. Le partite, i gol, gli errori, le critiche sulla formazione, le critiche all’allenatore. Meglio, molto meglio questo delle chiacchiere vuote e senza senso che si è soliti fare durante le pause del campionato. Soprattutto quando questo vuoto è riempito da radio-mercato, capace di amplificare quel vuoto piuttosto che riempirlo.
Nel tempo dei social media che stiamo vivendo poi il calciomercato diventa, spesso, un esercizio di stile fine a se stesso. Voci che si rincorrono senza nessuna verifica con i diretti interessanti mettono in circolo notizie che non hanno nessuna fondatezza, buone solo ad alimentare malcontento o eccitazione tra i tifosi che durano fino alla smentita di turno.

Le statistiche dicono che vince chi cambia meno
Ma è davvero positivo cambiare tanti calciatori durante le sessioni di calciomercato?
Le statistiche dicono di no. Chi cambia molto e spesso è destinato a fallire da un punto di vista sportivo. Rivoluzionare la propria rosa di calciatori è indice di una scarsa programmazione che incide sui risultati sportivi in maniera inequivocabile. Più si cambia più non si vince. E l’Italia in questa speciale classifica tra i campionati più importante del Vecchio Continente, occupa il primo posto, in negativo.
La girandola di calciatori penalizza soprattutto i giovani che non potendo restare a lungo nella stessa squadra, pagano il prezzo più alto. Il Italia solo il 9,6% dei calciatori proviene dal vivaio, mentre in Francia la media sale al 24,6%. Analizzando i «dall’analisi di 31 campionati europei risulta che la parte alta della classifica sia frequentata da club più stabili (dove la percentuale di nuovi giocatori si ferma al 38,5%) mentre i bassifondi sono appannaggio dei club più frenetici sul mercato (43,8% di nuovi acquisti)».

Cosa conviene fare?
La risposta è semplice: programmare e affidarsi a progetti di medio e se durante il tragitto i risultati non arrivano, in ogni caso, conviene cambiare il meno possibile.
Se analizziamo la storia sportiva più recente del Pescara troviamo conferma in ciò che si è sostenuto. Tutte le volte che la rosa è stata rivoluzionato i risultati non sono mai arrivati. Valeva per gli anni precedenti, vale anche per l’anno in corso. Dopo la rivoluzione, sportiva ovviamente, dell’estate scorsa bene farebbe la dirigenza dei biancazzurri a cambiare il meno possibile. La rosa costruita in estate è ampia e andrebbe, eventualmente, solo sfoltita. Ovvero si dovrebbero effettuare operazioni in uscita piuttosto che in entrata e insistere su un gruppo che, dopo le difficoltà iniziali, sta dimostrando di avere le qualità tecniche e umane per risalire la china.

Questi fantasmi

Lo scorso anno già dalla partita contro la Triestina, era la prima uscita ufficiale e il Pescara fu eliminato dal primo torneo della stagione, la Coppa Italia, ai calci di rigori da una squadra di Lega Pro, si capiva che il Pescara di Zeman avrebbe disputato un grande campionato. In campo si erano visti i primi movimenti del credo zemaniano, non ancora tutti gli attori protagonisti, e s’intuiva che quella squadra poteva “spaccare” il campionato. Non se ne accorse nessuno, forse perché era la vigilia di ferragosto e il caldo, a volte, obnubila il cervello. Poi iniziò il campionato e con il campionato i primi riscontri a supportare l’impressione positiva tratta dalla partita contro la Triestina. Ma il contesto pescarese continua ad ignorare Zeman, non la squadra, ma proprio l’allenatore di Praga. Quando poi il Pescara comincia a segnare con una certa regolarità e a occupare stabilmente le prime posizioni in classifica le critiche diventano, paradossalmente, anche più perfide. Mai dirette, ma sempre indirette. Nascoste, pigiate, le une sulle altre tra le parole. Visibili per sottrazione nei titoli di prima pagina che non ci sono. In un narrare le gesta della squadra, che nel frattempo sta deliziando il palato calcistico di tutta l’Italia, non utilizzando mai aggettivi adeguati all’impresa che si sta materializzando sotto gli occhi di tutti. Ogni singolo passo falso viene salutato come quello definitivo. E nel periodo peggiore dal punto di vista dei risultati, tra la fine di marzo e l’inizio di aprile il periodo dei lutti per chi avesse già rimosso ogni ricordo e con la squadra che sembrava non avere la forza di reagire, alle cassandre nostrane sembrava aver vinto definitivamente la personale battaglia.
Il campo però, da Padova-Pescara e fino alla fine del campionato, ha dato responsi impossibili da ignorare e, obtorto collo, dinnanzi al trionfo di una squadra che ha riscritto la storia della serie B, tutti sono stati costretti ad utilizzare aggettivi che mai avrebbero pensato di dover rispolverare dai cassetti della loro memoria.
Perché è successo tutto questo? Perché una squadra che vinceva e riempiva lo stadio tutte le settimane non è stata raccontata e accompagnata al successo con l’enfasi che avrebbe meritato? Perché Zeman, cercato e rincorso dai media di tutto il Paese per il nuovo miracolo che stava realizzando in Abruzzo, è stato, nella sua nuova casa, trattato come un intruso?
La chiave per aiutarci a capire ciò che è successo lo scorso anno in riva all’Adriatico e per comprendere alcuni meccanismi della mente umana e ciò che succede quando ci si rifiuta di guardare la realtà delle cose ce la offre uno dei più grandi autori teatrali italiani di tutti i tempi.
Nello stadio dove il Pescara gioca le sue partite interne, si aggira il fantasma di Alfredo e i Pasquale Lojacono pescaresi pensano davvero sia un fantasma. Ci credono a tal punto da non vedere ciò che succede sotto i loro occhi e cioè che Maria, la giovane moglie di Pasquale Lojacono, sia l’amante di Alfredo. Un fantasma che ieri osteggiava e oggi pontifica sul nulla.
«I fantasmi non esistono. I fantasmi siamo noi…», ripeteva, inascoltato, Pasquale.
E cosi la malafede di alcuni e il pregiudizio di molti, crearono le condizioni perché non ci fosse la narrazione di un’impresa, ma semplicemente la cronaca di una vittoria. Un’occasione persa, come spesso succede all’Abruzzo anche in altri settori, per scrivere nuove pagine di epica sportiva destinate a restare nella memoria collettiva come “La storia”.
«Mi ha lasciato una somma di denaro […] però dice che ha sciolto la sua condanna […] che non comparirà mai più […] Come? […] Sotto altre sembianze? È probabile. E speriamo…». Sono le parole con le quali Pasquale Lojacono commenta con il professor Santanna l’epilogo della commedia Questi fantasmi, scritta e interpretata da Eduardo De Filippo, drammaturgo, regista, attore e poeta, patrimonio dell’umanità.

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