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Pescara-Torino_21 settembre 2016

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I calciatori del Pescara si disperano per un occasione mancata, mentre il portiere del Torino sorride guardando il suo compagno di squadra Zappacosta che ha appena salvato la sua porta.

Beha, Pecci e Zanetti, un tris d’assi per Pagina Tre

      

Oliviero Beha, Eraldo Pecci e Javer Zanetti, sono stati gli ospiti, prestigiosi, di Pagina Tre, rispettivamente nella 3ª, 4ª e 5ª puntata di Calcio Totale.
Autori di tre libri diversi eppure molto simili. Tre libri in cui al centro della narrazione c’è la vicenda umana del protagonista, prim’ancora della vicenda sportiva. Una narrazione in cui la vicenda sportiva funge, quasi da contorno, in qualche misura completa il racconto.
Il libro di Beha, Un cuore in fuga, racconta la vicenda umana di Gino Bartali che, approfittando della fama che il ciclismo gli aveva regalato, salva da morte sicura molte uomini e donne ebrei in una Firenze martoriata dalla guerra. Un campione nella vita così come sulle strade di mezzo mondo.
Eraldo Pecci racconta la storia dello scudetto che vinse con la maglia gloriosa del Torino nella indimenticabile stagione calcistica 1975/76, Il Toro non può perdere il titolo del libro. E anche in questo caso, accanto alla narrazione sportiva ci sono protagonisti e vicende umane che superano anche quella vittoria che può, a ragion veduta, considerarsi storica.
Javer Zanetti con Giocare da uomo ha emozionato lo studio e i telespettatori con la sua passione autentica per un calcio pulito, ma soprattutto per il suo essere una bella persona. Anche in questo caso il libro ripercorre la sua straordinaria carriera ricca di trionfi sportivi, ma racconta di un Pupi, è il nome con cui affettuosamente viene chiamato Zanetti, attento alla vita di tutti i giorni e dei più bisognosi.

Un cuore in fuga, Oliviero Beha_(2014, Piemme, 266 pagine. 14,90 euro)
Il Toro non può perdere, di Eraldo Pecci (2013, Rizzoli, 288 pagine. 18 euro)
Giocare da uomo. La mia vita raccontata a Gianni Riotta, Javer Zanetti_(2013, Mondadori, 300 pagine. 17,50 euro)

Il Toro non può perdere, Eraldo Pecci

Scrive Gianni Mura nella prefazione: «questo, che sembra un libro rievocativo dello scudetto ’76, in realtà è una storia d’amore e a me piacciono le storie d’amore». Leggendo queste parole mi sono tornate in mente altre parole, lette tanti anni fa, che delimitano e restringono il concetto espresso da Mura. «Tutte le storie sono storie d’amore», scrive Robert McLiam Wilson in Eureka street. E ciò che racconta Eraldo Pecci ne il Il Toro non può perdere è davvero una bella storia, una bella storia d’amore. La narrazione di un mondo che non c’è più, «Erano altri tempi, torno a dirlo» scrive sempre Mura, travolto e cambiato da un’omologazione del pensiero che non ha eguali nell’evoluzione dei comportamenti umani. Un’umanità, rievocata anche nelle pagine scritte da Eraldo Pecci, che c’informa di un Paese migliore, sano e ricco di futuro.
La magica stagione ’75-76, il sottotiolo del libro, è la stagione della conquista dell’ultimo scudetto del Toro, uno scudetto che Pecci conquista al primo anno con la maglia granata. Una maglia passata direttamente dalla storia alla leggenda nel pomeriggio del 4 maggio 1949, il giorno del tragico incidente che causò la morte di un’intera squadra che aveva vinto cinque scudetti consecutivi.
Il giovane Eraldo si accorge fin dal primo momento che indossare la maglia granata è un privilegio e nello stesso tempo molto difficile.
«La differenza che c’è tra le città d’Italia dove ci sono due squadre e Torino è che a Torino ci sono “loro”, i gobbi. A Milano succede che in un certo periodo vada meglio il Milan e in un altro l’Inter. Succede così anche a Roma tra Lazio e Roma o a Genova tra Genoa e Sampdoria. A Torino no, a Torino ci sono “loro”, che sono padroni del giornale, padroni della tv, padroni della banca e, tramite la Fiat, padroni della città. Non c’è gara».
Eppure in quell’annata, calcisticamente fantastica e irripetibile, il Toro vinse lo scudetto conquistando 45 punti contro i 43 della Juventus. Era il Toro del “giaguaro”, dei “gemelli del gol”, del “poeta”. Questa la formazione titolare: Castellini, Santin, Salvadori, Patrizio Sala, Mozzini, Caporale, Claudio Sala, Pecci, Graziani, Zaccarelli, Pulici. Una squadra efficace e bella da vedere che rinverdì, anche se per pochi anni, i fasti del “Grande Torino”. Una squadra che giocava in velocità con un pressing alto in fase di non possesso palla che solo molti anni dopo si rivedrà, applicato sistematicamente, nel campionato italiano di calcio. Una squadra ruvida e nello stesso tempo con un alto tasso tecnico garantito da calciatori che hanno segnato la storia calcistica non solo del Toro. Paolo Pulici, Ciccio Graziani, Claudio Sala, Renato Zaccarelli, lo stesso Eraldo Pecci.
Ma un’impresa, perché quella del Toro del 1975 fu una vera impresa, non si realizza soltanto con gli undici calciatori che la domenica vince le partite sul terreno di gioco. Un’impresa come quella realizzata dal Torino nella stagione sportiva 1975/76 si costruisce se c’è un gruppo allargato di persone che lavora e vive in armonia. Questo gruppo Pecci non l’ha dimenticato, anzi è proprio a loro che dedica le pagine più belle del suo libro. Bruno Vigato (il magazziniere), la signora Franca (responsabile spogliatoio “Fila”), la famiglia Pasotti (il ristorante del circolo del Toro), Domenico Magrini (l’artigiano delle scarpe da calcio), il signor Porzio (addetto all’arbitro), Giacomo Franco detto “Nino” (accompagnatore di Radice), Bruno Colla e Giovanni Monti (massaggiatori), sono solo alcuni rappresentanti della fauna umana presente nel libro e che rese possibile, assieme ai calciatori ovviamente, quello splendido trionfo sportivo.
Pecci non dimentica niente e nessuno. C’è spazio infatti anche per la letteratura con Giovanni Arpino e la sua Me grand Turin, così come c’è, ovviamente, il giusto spazio per Luciano Orfeo Pianelli che Pecci definisce come «il miglior presidente che ho avuto in tanti di carriera […] Mi fermo ancora oggi al cimitero di Villefranche a salutare il mio Pres davanti alla tomba che divide con donna Cecilia. Sulla lapide ci sono spesso fiori freschi, a volte fiori di tifosi granata».
A questo si giustappone la narrazione degli eventi sportivi che determinarono quella storica vittoria. Le partite, i gol, gli aneddoti, i protagonisti. A completare il tutto 34 fotografie (più 2 della copertina), quasi tutte in bianco e nero, che hanno la capacità di saper riavvolgere il nastro dei ricordi e trasportati, per il tempo della lettura, ad esultare con Pulici e Graziani, con Castellini e Claudio Sala e, ovviamente, con quel ragazzo dall’accento bolognese e la maglia numero 8 sulle spalle: Eraldo Pecci.

Il Toro non può perdere, Eraldo Pecci (2013, Rizzoli, 288 pagine. 18 euro) 

UP
1. Torino
Exploit della squadra di Ventura che espugna il Rigamonti ridimensionando il valore dell’Atalanta. Scatenati i granata che segnano ben cinque reti e con questa vittoria provano a tirarsi fuori dalla bagarre delle squadre impegnate nella lotta per non retrocedere. Adesso è chiamato a confermare, nelle prossime partite, quanto di buono fatto fino a oggi.

2. Giovannino Stroppa
Tutti i commentatori hanno pronosticato il Pescara in serie B con poche possibilità di errore. Invece Giovannino Stroppa, il bassaiolo di Mulazzano, pur avendo avuto la rosa a disposizione solo a campionato iniziato sta dimostrando tutto il suo valore. Partito molto male ha saputo far tesoro dei suoi errori e ha cambiato idea dimostrando di essere una persona intelligente. In estate quando fu scelto dalla società in pochi capirono questa scelta. Il calcio, e questo in pochi lo comprendono, è per molti ma non è per tutti.

3. Fabrizio Miccoli
Riconquista una maglia da titolare e il Palermo torna a volare. Segna una tripletta con un gol, il terzo, di rara bellezza. Trascinatore in campo e fuori è il vero leader di questa squadra. Gasperini può essere tranquillo che il suo lavoro a Palermo durerà a lungo. Lo chiamano il Romario del Salento, dopo il gol di ieri e almeno per un giorno chiamiamolo il Maradona del Salento, lo merita.

DOWN
1. Roma
I primi venti minuti di Juventus-Roma ricordano l’apprendistato del primo Foggia. Errori singoli e di squadra che hanno determinato una sconfitta pesantissima non solo nel risultato ma proprio nella prestazione. La squadra ha perso la partita prim’ancora di scendere in campo. Un portiere inadeguato al compito e un De Rossi che, al di la della negativa prestazione, dopo le dichiarazioni del post partita andrebbe fatto accomodare in tribuna fino a gennaio.

2. Dirigenza e tifoseria della Juventus
Aver mandato il quarto allenatore alla conferenza stampa nel prepartita di Juventus-Roma da la dimensione comportamentale del gruppo dirigente della Juventus. Andrea Agnelli e Beppe Marotta con il loro comportamento e le loro dichiarazioni sono la dimostrazione plastica che è molto più difficile saper vincere che saper perdere. La tifoseria segue a ruota la dirigenza mostrando allo stadio tutti gli striscioni al rovescio come a voler dire al tecnico della Roma, oggetto di insulti per tutta la partita, non meriti nemmeno di vedere le nostre insegne. In tutt’altro modo si comportarono i tifosi dell’Inter che accolsero l’allenatore della Roma con uno striscione di benvenuto.

3. Chievo
Per la prima volta da diversi anni il Chievo si trova nella zona bassa della classifica. Non eravamo abituati a vederlo in queste posizioni e forse non lo sono nemmeno i calciatori. Mimmo Di Carlo, la cui panchina pare essere in pericolo, dovrà cercare di recuperare già dalla prossima partita posizioni in classifica altrimenti la situazione diventerà insostenibile per lui è per la squadra.

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