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Splendori e miserie del gioco del calcio, Eduardo Galeano

Eduardo Galeano è un intellettuale uruguagio, uno dei migliori autori della letteratura latinoamericana, un grande appassionato di calcio. Insieme ad altri scrittori, per lo più sudamericani, è riuscito, con i suoi scritti sullo sport più popolare al mondo, a trasformare le narrazioni calcistiche in epica moderna. E ogni suo scritto è un «Omaggio al calcio, celebrazione delle sue luci, denuncia delle sue ombre».
Ha spesso attaccato gli intellettuali di sinistra che snobbano il calcio sia come puro divertimento e diletto, sia come manifestazione umana utile alla comprensione di alcuni fenomeni di massa.
In Splendori e miserie del gioco del calcio, nella nuova edizione e veste grafica e con la bella traduzione di Pierpaolo Marchetti, riesce a trasferire al lettore il suo grande amore per il calcio e la sua passione per la giustizia e per la verità. Il suo essere vicino a chi soffre e lotta per emergere. In questo senso è al di fuori di ogni logica neoglobalizzatrice che ci vuole tutti uguali e sempre pronti a dire di sì. E in questo, pur essendo autenticamente legato alle sue radici e alla sua terra, ci mostra come superare, anche nel tifo per il calcio, ogni provincialismo.
«Sono passati gli anni, e col tempo ho finito per assumere la mia identità: non sono altro che un mendicante di buon calcio. Vado per il mondo col cappello in mano, e negli stadi supplico: “Una bella giocata, per l’amor di Dio”. E quando il buon calcio si manifesta, rendo grazie per il miracolo e non m’importa un fico secco di quale sia il club o il paese che me lo offre».
Un autentico appassionato di calcio che insegue, supplica a volte una buona giocata. In questa narrazione, che parte delle origini del calcio per arrivare fino ai mondiali del 2006, ci sono tanti singoli protagonisti, ma soprattutto Galeano si diletta a scrivere di gol. Si perché il gol è l’essenza stessa del gioco del calcio. «Il gol è l’orgasmo del calcio. Come l’orgasmo, il gol è sempre meno frequente nella vita moderna». Il gol sempre meno presente nelle partite di oggi perché tutti, dai dirigenti ai calciatori, dal pubblico agli sponsor cercano solo la vittoria. Ad ogni costo.
«Obbligati dalla legge del rendimento, che ha bisogno di vincere con ogni mezzo e genera ansia e angoscia, molti giocatori diventano delle farmacie che corrono. E lo stesso sistema che li condanna a questo, poi li condanna per questo ogni volta che la cosa viene scoperta».
Sembra di udire le parole di un altro innamorato del calcio e del gol, l’allenatore di zemanldandia, Zdeněk Zeman. Stesse parole e stessa filosofia. Il primo, Galeano, usa esclusivamente le parole per dilettare e censurare, il secondo, Zeman, le sue squadre per deliziare il pubblico e le parole per attaccare il sistema.
«E grazie a Maradona il sud oscuro era riuscito, infine, a umiliare il nord luminoso che lo disprezzava. Coppa dopo coppa, negli stadi italiani ed europei, la squadra del Napoli vinceva, e ogni gol era una profanazione dell’ordine costituito e una rivincita sulla storia […] Nel calcio frigido di fine secolo, che esige di vincere e proibisce di godere, quest’uomo è uno dei pochi a dimostrare che la fantasia può anche essere efficace».
Nel personalissimo Pantheon di Galeano non poteva non esserci il più grande di tutti i calciatori, Diego Armando Maradona, perché “El pibe de oro” incarna alla perfezione il riscatto sociale di ogni bimbo del sud del mondo unitamente a una tecnica così pura che lo ha reso, quando era ancora un calciatore inattività, il più grande di tutti i tempi.
E sempre a proposito di Maradona, Galeano racconta un’incredibile partita che si disputò nel 1973.
«Si misuravano le formazioni dei ragazzi dell’Argentinos Junior e del River Plate a Buenos Aires. Il numero 10 dell’Argentinos ricevette il pallone dal suo portiere, scartò il centravanti del River e iniziò la sua corsa. Vari giocatori gli si fecero incontro. A uno fece passare il pallone di lato, all’altro tra le gambe, l’altro ancora lo ingannò di tacco. Poi, senza fermarsi, lasciò paralizzati i terzini e il portiere caduto a terra e camminò con il pallone ai piedi fin dentro la porta avversaria. In mezzo al campo erano rimasti sette ragazzini fritti e quattro che non riuscivano a chiudere la bocca […] Di notte dormiva abbracciato alla palla e di giorno con lei faceva prodigi. Viveva in una casa povera di un quartiere povero e voleva diventare un perito industriale».
Scritti brevi, ma capaci di entusiasmare al pari di un bel gol o di una acrobatica rovesciata che fa terminare la corsa del pallone all’incrocio dei pali della porta avversaria. Esprimono un sentimento autentico e ricco di gioia, qualcosa che si avvicina all’idea di felicità. E anche se «Il calcio professionistico fa tutto il possibile per castrare questa energia di felicità, lei sopravvive malgrado tutto». Galeano critica anche coloro che scrivono i libri di storia e non inseriscono il calcio come materia di studio per i più giovani. Secondo Galeano lo studio del gioco del calcio aiuterebbe a comprendere meglio i popoli perché «lo stile di gioco è un modo di essere che rivela il profilo proprio di ogni comunità».
E sempre a proposito di felicità ecco la chicca dell’ultimo capitolo, La fine della partita.
«Un giornalista chiese alla teologa tedesca Dorothee Sölle: “Come spiegherebbe a un bambino che cosa è la felicità?” “Non glielo spiegherei”, rispose, “gli darei un pallone per farlo giocare”».
Un libro che ogni appassionato di calcio, e insieme di libertà e di giustizia, deve avere sul proprio comodino e a portata di mano, per poterlo sfogliare e leggere ogni qualvolta il triplice fischio finale di una partita comincia a segnare il tempo che ci separa dall’inizio di una nuova e sempre entusiasmante storia d’amore con un nuovo, possibile, pibe de oro.

Splendori e miserie del gioco del calcio, Eduardo Galeano (1997, Sperling & Kupfer, 282 pagine. 16,50 euro)

A Cristiano ciò che è di Cristiano e a Daniele ciò che è di Daniele

Il Pescara chiude il girone di andata con 20 punti e cinque squadre alle sue spalle. Ha segnato 17 reti e ne ha subite 35. Se il campionato terminasse oggi sarebbe salvo: perciò tutti in piedi e battiamo le mani. Battiamo le mani perché venti punti sono tanti, perché il Pescara è una neopromossa e perché le squadre che i biancazzurri si mettono alle spalle rispondono al nome di Siena, Palermo, Cagliari, Genoa e Bologna. Senza considerare che al giro di boa del campionato ha gli stessi punti della Sampdoria e del Torino ed è a due lunghezza dall’Atalanta.
Un campionato dunque, almeno fino a questo momento, molto positivo per la società diretta da Daniele Sebastiani che, in maniera ingenerosa, è stato criticato con troppa fretta e superficialità.
L’avvento sulla panchina del Pescara di Cristiano Bergodi (e del suo staff) sta portando indubbi benefici alla squadra anche se la parte più difficile, per il neo tecnico biancazzurro, inizia proprio adesso.
La vittoria contro la Fiorentina consegna alle cronache un Pescara double-face, molto attento in fase di contenimento nel primo tempo, con un insuperabile Perin che salva la squadra dal tracollo, cinico e più intraprendente nel secondo tempo. Un buon Pescara che mi è piaciuto e che ha meritato la vittoria per l’autorità con la quale ha saputo tenere testa a una squadra molto più forte da un punto di vista tecnico.
Interpellato da www.fiorentina.it prima della sfida del Franchi, per la rubrica “Penna in trasferta”, avevo detto che ciò che avrebbe fatto la differenza in campo sarebbero state le motivazioni dei calciatori, così è stato. Il Pescara è sceso in campo con la mentalità giusta, ma soprattutto molto concentrato. Gran parte del merito va ascritta al suo allenatore che in poco tempo e soprattutto con una squadra che non aveva costruito, è riuscito a trasformare un gruppo di calciatori in una squadra. Non è un merito da poco e non era scontato che ciò accadesse. Perciò credo che vada riconosciuto a Cristiano Bergodi ciò che è di Cristiano Bergodi.
Così come va riconosciuto a Daniele Sebastiani, e a tutta la società che pure era alla sua prima esperienza in serie A, la bontà del lavoro svolto in fase di costruzione della squadra. E quindi anche a Daniele (Sebastiani e Delli Carri) ciò che è di Daniele.
Da oggi dunque si può guardare al futuro con più ottimismo e anche con un po’ più di serenità. Non bisogna disperdere il lavoro svolto fino ad oggi e bisogna approfittare del mercato di gennaio per mettere a segno quei colpi che possono garantire al Pescara un girone di ritorno più tranquillo.
Serve, oggi più di ieri, un attaccante centrale in grado di garantire alla squadra otto, nove gol fino alla fine del campionato e almeno un centrocampista di qualità in mezzo al campo che possa prendere il posto dell’ottimo Togni che può diventare la prima, vera e unica alternativa al nuovo acquisto.
E infine così come ho scritto all’inizio del campionato, non si prenda Ciro Ferrara perché in contraddizione con lo stile e il progetto inaugurato con Zdeněk Zeman, oggi penso, con motivazioni analoghe, che non si debba acquistare Gaetano D’Agostino.

Praeiudicium

L’accoglienza riservata a Cristiano Bergodi da parte dell’ambiente sportivo di Pescara, tifosi e addetti ai lavori, non è stata tiepida o addirittura ostile come lo fu per Giovannino Stroppa. È stata certamente una buona accoglienza.
I tifosi, da sempre la componente più esigente della vasta platea che segue il calcio, sono in verità divisi a metà. C’è chi sostiene che la “pescaresità” acquisita di Bergodi sia un elemento importante, se non determinate, per il buon esito della sua missione. Altri invece pensano che non abbia sufficiente esperienza o che comunque non sia la persona giusta per poter raggiungere l’obiettivo prefissato della salvezza.
Gli addetti ai lavori (quasi tutti) si sono schierati, decantandone le doti fin dal primo incontro, con il nuovo tecnico non risparmiando le ultime punture di veleno per il bassaiolo di Mulazzano.
Siamo dunque in presenza di un evidente pregiudizio da parte di molti, sia nel caso di Bergodi sia nel caso di Giovannino Stroppa.
Nel caso di Stroppa è parso evidente fin dalla conferenza stampa di presentazione che il clima per lui sarebbe stato difficile se non ostile. Il suo «dimenticare Zeman», pronunciato ingenuamente dal tecnico lombardo nel giorno del battesimo pescarese, è diventato un tormentone che non lo ha abbandonato fino al giorno delle sue dimissioni.
Bergodi invece non ha avuto bisogno di presentazioni particolari, lui è di casa a Pescara e conosce personalmente quasi tutti gli addetti ai lavori. Pur essendo anche lui, proprio come il suo predecessore, esordiente in serie A non ha subito il fuoco incrociato delle domande sull’inesperienza, anzi questo argomento non è stato affrontato come se l’esperienza maturata in Romania potesse colmare la mancanza di panchine in serie A. Anche l’esordio negativo, certamente dal punto di vista del risultato maturato in campo, contro la Roma non ha avuto riscontro sulle narrazioni lette nei giorni successivi. Al contrario, leggendo le cronache e i commenti post partita si ha l’impressione che il malato sia sulla strada della guarigione. Poco importa se il Pescara non ha mai tirato in porta e non ha costruito nessuna azione davvero pericolosa per la porta difesa da Goicoechea e che la Roma, come l’Inter, l’Atalanta, la Lazio, La Juventus e perfino il Parma, sembrava stesse facendo poco più che un allenamento infrasettimanale.
Praeiudicium, appunto.
Ognuno vede ciò che vuol vedere, ma soprattutto prevede ciò che vuol prevedere. Si è messo in risalto la parte finale della partita, l’ultima frazione di gioco in cui, ai più, è sembrato che la squadra biancazzurra potesse davvero pareggiare la partita.
Più realisti del re.
E invece con molta sincerità il neo allenatore del Pescara nelle dichiarazioni post partita ha ammesso che c’è molto da lavorare e che la squadra è mancata soprattutto in fase d’impostazione non costruendo nessuna palla gol.
Certo Bergodi non poteva fare molto in quattro giorni. È ripartito dal 5-3-2 di Stroppa spostando in avanti il prezzo pregiato della squadra, Quintero. L’esperimento non ha dato un esito positivo perché il giovane colombiano è stato una delle delusioni di giornata. Con lui Perin che, pur salvando la porta del Pescara in almeno due occasioni su Mattia Destro, ha la responsabilità del gol che ha consentito alla Roma di portare a casa l’intero bottino.
Cristiano Bergodi sa che non ha molto tempo per capire la qualità degli uomini che ha a disposizione e che il mercato di gennaio, purtroppo, non è vicino. Vedremo già dalla prossima partita, a Napoli contro l’ex Insigne, se sarà capace d’invertire la rotta e condurre il Pescara verso porti più sicuri.

Questi fantasmi

Lo scorso anno già dalla partita contro la Triestina, era la prima uscita ufficiale e il Pescara fu eliminato dal primo torneo della stagione, la Coppa Italia, ai calci di rigori da una squadra di Lega Pro, si capiva che il Pescara di Zeman avrebbe disputato un grande campionato. In campo si erano visti i primi movimenti del credo zemaniano, non ancora tutti gli attori protagonisti, e s’intuiva che quella squadra poteva “spaccare” il campionato. Non se ne accorse nessuno, forse perché era la vigilia di ferragosto e il caldo, a volte, obnubila il cervello. Poi iniziò il campionato e con il campionato i primi riscontri a supportare l’impressione positiva tratta dalla partita contro la Triestina. Ma il contesto pescarese continua ad ignorare Zeman, non la squadra, ma proprio l’allenatore di Praga. Quando poi il Pescara comincia a segnare con una certa regolarità e a occupare stabilmente le prime posizioni in classifica le critiche diventano, paradossalmente, anche più perfide. Mai dirette, ma sempre indirette. Nascoste, pigiate, le une sulle altre tra le parole. Visibili per sottrazione nei titoli di prima pagina che non ci sono. In un narrare le gesta della squadra, che nel frattempo sta deliziando il palato calcistico di tutta l’Italia, non utilizzando mai aggettivi adeguati all’impresa che si sta materializzando sotto gli occhi di tutti. Ogni singolo passo falso viene salutato come quello definitivo. E nel periodo peggiore dal punto di vista dei risultati, tra la fine di marzo e l’inizio di aprile il periodo dei lutti per chi avesse già rimosso ogni ricordo e con la squadra che sembrava non avere la forza di reagire, alle cassandre nostrane sembrava aver vinto definitivamente la personale battaglia.
Il campo però, da Padova-Pescara e fino alla fine del campionato, ha dato responsi impossibili da ignorare e, obtorto collo, dinnanzi al trionfo di una squadra che ha riscritto la storia della serie B, tutti sono stati costretti ad utilizzare aggettivi che mai avrebbero pensato di dover rispolverare dai cassetti della loro memoria.
Perché è successo tutto questo? Perché una squadra che vinceva e riempiva lo stadio tutte le settimane non è stata raccontata e accompagnata al successo con l’enfasi che avrebbe meritato? Perché Zeman, cercato e rincorso dai media di tutto il Paese per il nuovo miracolo che stava realizzando in Abruzzo, è stato, nella sua nuova casa, trattato come un intruso?
La chiave per aiutarci a capire ciò che è successo lo scorso anno in riva all’Adriatico e per comprendere alcuni meccanismi della mente umana e ciò che succede quando ci si rifiuta di guardare la realtà delle cose ce la offre uno dei più grandi autori teatrali italiani di tutti i tempi.
Nello stadio dove il Pescara gioca le sue partite interne, si aggira il fantasma di Alfredo e i Pasquale Lojacono pescaresi pensano davvero sia un fantasma. Ci credono a tal punto da non vedere ciò che succede sotto i loro occhi e cioè che Maria, la giovane moglie di Pasquale Lojacono, sia l’amante di Alfredo. Un fantasma che ieri osteggiava e oggi pontifica sul nulla.
«I fantasmi non esistono. I fantasmi siamo noi…», ripeteva, inascoltato, Pasquale.
E cosi la malafede di alcuni e il pregiudizio di molti, crearono le condizioni perché non ci fosse la narrazione di un’impresa, ma semplicemente la cronaca di una vittoria. Un’occasione persa, come spesso succede all’Abruzzo anche in altri settori, per scrivere nuove pagine di epica sportiva destinate a restare nella memoria collettiva come “La storia”.
«Mi ha lasciato una somma di denaro […] però dice che ha sciolto la sua condanna […] che non comparirà mai più […] Come? […] Sotto altre sembianze? È probabile. E speriamo…». Sono le parole con le quali Pasquale Lojacono commenta con il professor Santanna l’epilogo della commedia Questi fantasmi, scritta e interpretata da Eduardo De Filippo, drammaturgo, regista, attore e poeta, patrimonio dell’umanità.

«Ma l’impresa eccezionale, dammi retta, è essere normale»

Quando quest’estate il nome di Giovanni Stroppa come allenatore del Pescara cominciava a circolare in città, in molti “hanno storto il naso”. La critica più gettonata è stata: non ha esperienza. Il concetto si evolveva in: non ha mai allenato nemmeno in serie B cosa potrà fare a Pescara?
Poi si passava ad elencare quelli che potevano o “dovevano” essere gli allenatori idonei per Pescara. Gasperini e Delio Rossi i più gettonati, ma anche Ciro Ferrara godeva di buona reputazione. Più staccati nel consenso generale un lungo elenco di allenatori che a giorni alterni campeggiavano a caratteri cubitali anche sui quotidiani locali. Il nome di Stroppa non piaceva a nessuno. Un po’ perché non lo conosceva nessuno, anche per la sua ancor giovane carriera, ma soprattutto perché il suo nome non evocava nessun sogno. Quando poi il «bassaiolo di Mulazzano» si è presentato al Porto turistico con quel «Dimenticare Zeman», frainteso dai più, il cerchio si è definitivamente chiuso.
Da quel giorno, che era anche il suo primo giorno di lavoro in riva all’Adriatico, non c’è mai stata una reale apertura di credito nei suoi confronti. Né da parte dei tifosi, tantomeno da parte degli addetti ai lavori. Questo è ciò che ho visto e sentito in città e ciò che ho letto in questi primi, e mi auguro non ultimi, mesi di permanenza di Giovannino a Pescara.
A me, invece, l’ingaggio di Giovanni Stroppa è piaciuto fin dalla prima ora.
Nella mia personale classifica delle preferenze figuravano Delio Rossi al primo posto e poi a pari merito Claudio Foscarini, allenatore del Cittadella e Giovanni Stroppa.
Un allenatore già affermato, in grado di dare una precisa identità alla squadra come appunto è Delio Rossi, oppure un allenatore fuori dal solito giro, anche di procuratori e carrozzoni letali per il mondo del calcio, come appunto potevano essere Foscarini o Stroppa. Il primo fa miracoli al Cittadella da un po’ di anni e lo scorso anno è stata la squadra che più ha messo in difficoltà il Pescara di Zeman giocando un calcio anche spettacolare, il secondo invece ha disputato un buon campionato guidando il Südtirol-Alto Adige ai confini dei play-off in Lega Pro.
Da allora non ho cambiato opinione. Penso che il Pescara abbia fatto bene a scegliere Stroppa, dopo aver incontrato difficoltà nell’ingaggiare Delio Rossi, che rimaneva e rimane la mia prima scelta, e che faccia molto bene a confermare la fiducia all’allenatore oggi che in tanti ne chiedono il licenziamento.
Perché anche oggi, dopo nove giornate di campionato, sono favorevole alla conferma di Stroppa alla guida del Pescara?
Il primo e più importante motivo è che il Pescara dispone della rosa tecnicamente meno forte di tutta la serie A e qualunque altro allenatore avrebbe problemi ad ottenere risultati e contestualmente un bel gioco con questi calciatori a disposizione. Tutte le squadre, tecnicamente modeste, che cambiano allenatore in corsa, irrimediabilmente, sono destinate a retrocedere, lo dice la storia degli ultimi anni del campionato di serie A. A meno che non si opti per un allenatore di rango superiore come possono essere lo stesso Delio Rossi o Pasquale Marino. Se invece si pensa ad allenatori “qualunque” allora molto meglio lasciar lavorare in pace Stroppa perché il lavoro di oggi potrebbe essere molto utile anche per domani.

Ritorno al futuro

«Girando ancora un poco ho incontrato uno che si era perduto, gli ho detto che nel centro di Bologna non si perde neanche un bambino…» cantava Lucio Dalla e aveva ragione. Il Pescara a Bologna non solo non si perde ma conquista il primo punto della stagione e «ritrova» se stesso. Dopo tanti esperimenti, cambio di assetto tattico e di uomini, Giovannino Stroppa sembra avere trovato la squadra giusta, comunque la squadra migliore tra quelle schierate in queste prime giornate di campionato. Niente numeri strani ma il vecchio e affidabile 4-3-3, l’abito che il Pescara indossa con più disinvoltura. Era così l’altro ieri, ai tempi del “profeta” Galeone, era così ieri, al tempo del maestro di Praga. È così oggi con il «bassaiolo di Mulazzano».
Quattro difensori in linea, tra uomini in mezzo al campo e tre in avanti, con il “Piccolo Principe”, Juan Fernando Quintero, libero d’interpretare il proprio ruolo.
Bologna-Pescara era una partita molto delicata, una partita in cui ci si giocava un pezzo di serie A. Stroppa ha buttato il cuore oltre l’ostacolo e ha schierato una formazione che aveva tutte le caratteristiche tecniche e tattiche per giocare la partita alla pari con i felsinei, e ieri al “Dall’Ara” il Pescara ha disputato la migliore partita della stagione.
Una disposizione tattica che i calciatori hanno dimostrato di assecondare meglio, il modulo dello scorso anno con un’interpretazione nuova. Difesa meno alta e poco propensa a far scattare la tattica del fuorigioco ma soprattutto un tridente d’attacco in cui Vukusic e Caprari si sacrificano per garantire a Quintero un lavoro meno pesante in fase di copertura. Più equilibrato il reparto di centrocampo con un Colucci più presente, per quantità e qualità, laddove nasce il gioco della squadra. In alcuni momenti della partita si sono riviste persino le famose catene zemaniane, in particolare sulla fascia destra con Balzano, Nielsen e Caprari quando giostrava in quella zona del campo. La presenza in campo di Nielsen, inoltre, ha consentito a Cascione di essere di nuovo il centrocampista capace d’inserirsi nel cuore della difesa avversaria per concludere a rete.
Una squadra che dalla cintola in su sembra dunque aver trovato la strada giusta per risalire la china ma che soffre in fase di non possesso palla e di contenimento. Il primo gol di Gilardino è identico al primo gol che segnò l’Inter nella partita di esordio e al gol di Maxi Lopez nella sfortunata partita contro la Sampdoria. Tre gol, quasi, fotocopia l’uno dell’altro. È evidente quindi che questa situazione tattica non è frutto solo di errori individuali ma di un assetto che la squadra, complessivamente, fatica a trovare. Probabilmente la linea dei difensori è troppo bassa e dovrebbe giocare più alta ma, probabilmente, il quartetto dei difensori scesi in campo ieri non è quello migliore, si possono compiere altre scelte.
Il pareggio di ieri rappresenta dunque un passo in avanti significativo per il Pescara che parafrasando il film diretto da Robert Zemeckis, effettua un bel “Ritorno al futuro”.
«Devi tornare indietro con me!» dice Emmett Brown a Marty.
«Ma, indietro dove?».
«Indietro nel futuro!» risponde Emmett Brown.
E ieri si è tornati indietro al 4-3-3 per costruire un futuro da serie A.

Aspettando la prima vittoria

Le soste di campionato giungono sempre a proposito, perché c’è sempre qualcosa da mettere a punto in ogni squadra e in tutte le squadre. Certamente il Pescara di Giovanni Stroppa ha molte cose da “mettere a punto” dopo la falsa partenza in campionato con due sconfitte consecutive. Due sconfitte che non sono state sottovalutate dallo staff tecnico della squadra adriatica se si presta la giusta attenzione alle dichiarazioni ufficiali dell’allenatore e dell’intero gruppo dirigente in questi giorni di attesa per la ripresa dell’attività agonistica. In particolare l’allenatore sembra aver compreso bene le ragioni di questa brutta partenza, ma solo la prova del campo, che nel caso specifico sarà la prossima sfida con la Sampdoria, dirà se il lavoro svolto in queste due settimane di sosta sarà stato un lavoro proficuo e se sarà stato utile per correggere gli errori commessi in queste prime due gare.
La prossima sfida non sarà quella decisiva né in senso positivo tantomeno in senso negativo. La squadra è un cantiere in piena attività e queste due settimane di lavoro non possono aver scritto la parola fine alla costruzione del nuovo progetto. C’è bisogno di altre esercitazioni sul campo per costruire la nuova squadra anche se il tempo a disposizione, per Stroppa e i suoi ragazzi, stringe.
Dunque cosa ci si può aspettare, realisticamente, dalla prossima sfida contro la squadra di Ciro Ferrara?
I tifosi, e non solo loro, si aspettano una vittoria, la prima vittoria in serie A, una vittoria attesa in città dal 30 maggio 1993.
Si gioca la penultima giornata di campionato e all’Adriatico è di scena la Juventus di Roberto Baggio, vincitrice della Coppa UEFA nella doppia sfida contro il Borussia Dortmund. La partita ha un epilogo clamoroso e vede il Pescara imporsi per 5-1. Passa in vantaggio la Juventus con Ravanelli, che sostituisce Vialli spedito in tribuna da Trapattoni per alcune dichiarazioni che non sono piaciute alla società bianconera, ma alla metà del primo tempo Allegri, su rigore, riporta in parità la partita. Nel secondo tempo tutti si aspettano la reazione veemente della Juventus, mentre in campo c’è solo il Pescara. Prima Stefano Borgonovo, al quale va un grande abbraccio da tutti noi, porta sul 2-1 i biancazzurri poi al minuto 59, un tiro dal limite dell’area di rigore di Allegri viene deviato in rete da Carrera, l’uomo che a detta del presidente della squadra bianconera ha vinto con una partita da allenatore più di quanto abbia vinto Zeman in tutta la sua carriera, e la partita è sul 3-1. All’86 Martorella e al 90 Palladini fissano il risultato sul 5-1.
Per la prossima sfida ci si può dunque aspettare una vittoria altrettanto bella?
Per quello che mi riguarda, mi auguro di vedere in campo una squadra con una precisa identità tattica e che giochi bene al calcio, ma soprattutto una squadra con un’anima. Se la squadra che scenderà in campo mostrerà questi due aspetti vorrà dire che la sosta è stata proficua e che Giovannino Stroppa ha lavorato bene. A queste latitudini infatti al «vincere non è importante, ma è l’unica cosa che conta», si preferisce il meno presuntuoso e più nobile «conta vincere ma è anche importante come si vince». E si sa, certe abitudini sono dure a morire.

© 2021 Calcio Totale / Testata giornalistica registrata presso il Tribunale di Pescara il 03/09/2014 al n° 11. Registro della Stampa del Tribunale di Pescara n° 11-2014.

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